Non c’è Rosatellum senza spine

Un’attenta lettrice risponde all’appello  “In vista del voto, idee dal basso”, segnalando il fatto che “la nuova legge, il Rosatellum, non è conosciuta nei suoi termini e nelle sue ricadute elettorali dal 90 per cento degli italiani che si recheranno alle urne”. 

Ci suggerisce opportunamente “un’illustrazione chiara e perspicua dei meccanismi della legge elettorale”: lo faremo alla chiusura delle liste, altrettanto convinti che la scelta del 4 marzo richieda come cittadini e cristiani un surplus di documentazione, prima ancora che di partecipazione.

Non è vero, come sostiene l’invisibile ma rumoroso partito dei disfattisti, che “tanto non cambia nulla”. Appena cinque anni fa abbiamo assistito – lo documentano gli statistici del “tasso di volatilità” – ad un vero e proprio terremoto politico: ben 2 elettori su 5 che hanno tradito il partito che avevano scelto cinque anni prima.

Dunque, il nostro voto, ogni voto, conta! Eccome, tanto più con questo sistema elettorale ibrido – frutto di una “fiducia” e di una mediazione sofferta ma necessaria – che farà sentire con la sua forte componente a trazione proporzionalista l’esigenza di compiere una scelta che può essere determinante ma che porta con sé anche l’ipotesi dell’ingovernabilità. Le simulazioni più attentibili, infatti, indicano una tale frammentazione nel quadro politico post-voto (la “colpa” non è quindi “solo” del sistema elettorale) che il Rosatellum bis ben difficilmente riuscirà ad attribuire il giorno dopo la guida del Paese ad un solo schieramento. Innestato dentro un sistema politico che risulta quasi equamente tripartito – stando alle ultime tendenze elettorali ed ai sondaggi – il Rosatellum avrà molto probabilmente la ricaduta elettorale di spingere il polo votato ad un indispensabile accordo con uno degli altri due. Almeno per un “governo di legislatura” o di riscrittura di una nuova legge elettorale.

Le “spine” del Rosatellum, dunque, vanno preconsiderate con lucidità così come i problemi del Paese vanno affrontati con realismo. Per “ricostruire la speranza, ricucire il Paese e pacifare la società”. Tre verbi esigenti, usati nella recente Prolusione, assieme ad un quarto: “dialogare” da subito per trovare e dichiarare accordi nel segno del bene comune. Un verbo cristallino, dialogare, che è ben diverso da quell’infinito spurio “negoziare” che Papa Francesco nel suo discorso alla Chiesa italiana a Firenze ha deprecato come “cercare di ricavare la propria fetta dalla propria torta comune”.

L’avvio di questa campagna elettorale, purtroppo, sembra guardare più alla fetta che alle intese sulla torta. Rimandando l’ineludibile strettoia del dialogo al post voto, molti leaders mirano a delegittimare gli avversari (“mors tua, vita mea”) con la vecchia tattica delle demonizzazione. Dentro la quale si agita quella “cultura della paura – segnalata da Bassetti, a proposito del fenomeno migratorio – che, seppure in taluni casi comprensibile, non può mai tramutarsi in xenofobia o addirittura evocare discorsi sulla razza che pensavamo fossero definitivamente sepolti”.

Nell’impianto del “Rosatellum” va considerato, poi, l’impossibilità del voto disgiunto che ci sottrae dalla scelta diretta dei candidati (con i suoi pro e contro). Che ci resta? Molto: l’attenzione va posta sui partiti e sulle scelte di un personale politico adeguato al loro programma. E poi al programma che – come ha già indicato don Remo Vanzetta, due settimane fa (il dibattito prosegue nel nostro sito) – incroci le attese ragionate dal basso all’insegna dei valori di uguaglianza, solidarietà, coesione sociale, difesa degli ultimi e promozione della vita, attenzione alle periferie sguardo internazionale.

Secondo l’analisi del sondaggista Nando Pagnoncelli su “Vita e Pensiero”, gli italiani votano sempre più di pancia che di testa. Il recupero di una sapiente razionalità – che comporta anche la fatica della documentazione e del confronto serio – può essere la laicissima promessa che ci imponiano in questa quaresima elettorale.

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