Il difficile momento dell’Europa

Il nostro paese si troverà in forte difficoltà se i principali governi europei decidono di farne il capro espiatorio delle loro debolezze

Il tema viene affrontato con una certa superficialità e appassiona fino ad un certo punto, ma la crisi dell’Unione Europea non dovrebbe essere presa sotto gamba. Non è questione di sentimentalismo europeista, anzi è stato proprio quel sentimentalismo che ci ha portato alla attuale decadenza: a forza di pensare che comunque quell’orizzonte rappresentava un futuro meraviglioso e senza problemi il tema ha perso di rilevanza, è stato lasciato nelle mani di una burocrazia brussellese che ha passato il tempo ad autocelebrarsi, ed è riuscito sempre meno a mobilitare l’elettorato nelle scadenze che avrebbero dovuto essere altamente simboliche, cioè nella designazione del parlamento europeo.

Che la costruzione scricchiolasse lo si stava già vedendo da tempo. L’inserzione affrettata dei paesi dell’Est nella costruzione comunitaria, salutata a suo tempo come coronamento epocale di una storia comune (sulla cui esistenza in quei termini qualche dubbio sarebbe lecito), aveva già messo in discussione le capacità di integrazione del sistema nel momento in cui la crisi economica rendeva meno efficace il trasferimento generoso di risorse. E’ stato però il fatto che la crisi economica abbia toccato in maniera significativa anche gli equilibri dell’Europa occidentale a mettere in questione le interconnessioni che si erano stabilite nei decenni precedenti.

Oggi il tema chiave sembra essere l’avanzare impetuoso di movimenti populisti che ad Ovest come a Est affascinano gli elettorati e a volte autenticamente terremotano equilibri politici che sembravano molto solidi. La recente crisi del governo tedesco, che sembra rientrata, ma non è detto lo sia veramente, è l’ultimo episodio che rivela quanto la sfida dei populismi sia in grado di penetrare in profondità.

La cancelliera Merkel sembrava un politico assai sperimentato, che aveva avuto addirittura il coraggio di prendere in mano con decisione l’urto delle migrazioni dei profughi siriani evitando chiusure preconcette. Oggi vari indizi ci dicono che preferisca lasciare nell’ombra quel momento in cui pure aveva assunto un ruolo di guida morale in Europa. Il suo scontro con il ministro dell’interno Seehofer testimonia il livello di tensione che ormai esiste in quel paese, perché il leader politico bavarese non vuole perdere l’egemonia che esercita il suo partito, la CSU, insidiato dal populismo di destra del partito di Alternative für Deutschland.

Lo scontro si è chiuso con un compromesso che però ha creato tensioni con l’Austria e con l’Italia, non ha placato il revanchismo del gruppo di Visegrad e in definitiva impedisce che si trovi a livello europeo qualsiasi avvio di soluzione del problema dei migranti, come si era già visto nel summit della settimana scorsa.

E’ in questo contesto che la situazione italiana diventa sempre più problematica, con Salvini che punta a diventare il capo della lega europea dei populisti (strumentalmente sostenuto dalla stampa internazionale che gli dà grande spazio e anche da capi di stato come Macron che lo incoronano come avversario principe). Il nostro paese si troverà in forte difficoltà se i principali governi europei decidono di farne il capro espiatorio delle loro debolezze. Sbagliano coloro che pensano di trovare il sostegno di quelli che si contrappongono all’ipotetico fronte Macron-Merkel (fra il resto sempre più in disarmo): come si vede a partire dal caso dell’Austria, a solidarizzare con l’Italia in questo momento non c’è nessuno.

I ministri tecnici del nostro governo, quello dell’economia Tria e quello degli esteri Moavero Milanesi, cercano di tenere la situazione sotto controllo, ma è un’impresa ardua, perché il presidente Conte, di cui si ipotizza un asse col Quirinale che francamente noi non vediamo, alla fine si schiera sempre sul fronte Salvini- Di Maio. Eppure diventa difficile pensare non solo che si possa fare una buona legge finanziaria con questo clima, ma pure che si possa reggere sui mercati fino alle elezioni europee della prossima primavera, che è il traguardo che si pongono sia la Lega che M5S, desiderosi di farsi accreditare dalle urne quello che ritengono essere un consenso strabordante.

Se proprio in vista di quella scadenza siamo condannati ad un’altra campagna elettorale lunga nove mesi, non siamo davvero messi bene. C’è da sperare che un qualche evento imprevisto costringa tutti a ritornare all’uso se non della ragione, almeno di un po’ di prudenza politica.

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