Dubbi sull’accoglienza? Chiediamoci “cosa farebbe oggi Gesù?”

“Le nostre comunità sono chiamate a riconoscere i segni dei tempi. I migranti sono un segno dei tempi”

Bressanone – Era attesa una parola del vescovo a quelle comunità – cioè un po’ a tutti – che fanno fatica ad aprirsi alle persone che bussano alle nostre porte, tanto più oggi, in un clima avvelenato dalla politica dell’odio e della paura. Mons. Muser ha dato le sue indicazioni in occasione del convegno pastorale di Bressanone. “Le nostre comunità – ha detto sabato 8 settembre – sono chiamate a riconoscere i segni dei tempi. I migranti sono un segno dei tempi. Di fronte alla necessità di accogliere questi fratelli, ogni cristiano può porsi la domanda: che cosa farebbe Gesù? Che cosa mi chiede di fare Gesù? Vale anche per le comunità. La lettura comunitaria del Vangelo ci aiuta a trovare una risposta cristiana. Tutta la Sacra Scrittura ci esorta ad esempio a non temere e a non avere paura”.

Il convegno pastorale, aperto a sacerdoti, diaconi, laici impegnati nelle parrocchie, è stato l’occasione per lanciare il tema annuale – “Vocazione e luoghi pastorali” – con il titolo: “Sulla tua parola: dono, chiamata, missione”. È uso che nella seconda giornata del convegno il vescovo proponga le linee pastorali per l’anno che comincia.

Tra i vari punti mons. Muser ha ripreso un tema cui tiene particolarmente e che aveva già toccato nella recente lettera pastorale “Con Maria per la dignità umana”, pubblicata per la solennità dell’Assunta. “Stiamo assistendo a una deriva del linguaggio pubblico che forse è causata dalla difficoltà di coniugare pensieri, parole, scelte di vita, comportamenti. Il bene comune richiede attenzione alla complessità. Richiede il tempo di fermarsi a riflettere. Non pochi, anche a livello di persone pubbliche e responsabili, oggi invece sembrano, nel loro linguaggio, optare per la semplificazione e rifuggire tutto ciò che comporta la fatica del pensare. Del pensare prima di parlare e di agire. Uno slogan, per quanto contraddittorio e vuoto, è più efficace di ogni ragionamento”.

“Non possiamo essere per la dignità umana di ogni persona – ha detto ancora il vescovo – e poi insultare o dileggiare uomini, donne e bambini solo perché hanno avuto in sorte di nascere in situazioni invivibili, in zone di guerra, di fame e di miseria. Si usano parole che alimentano la paura e la paura ci impedisce di vivere umanamente, crea diffidenza e sfiducia. Siamo chiamati tutti a fare questo esercizio: ascoltare le parole attorno a noi e distinguere quelle parole che aprono al bene, che fanno crescere le persone, da quelle che distruggono le relazioni, umiliano le persone e hanno il fine di guadagnare un consenso facile, ma effimero”.

Il vescovo di Bolzano-Bressanone ha tenuto a sottolineare che espressioni come “prima noi” sono in contraddizione col messaggio evangelico, ma anche con i valori fondanti dell’Unione europea: dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza, diritti dell’uomo. “Chiediamoci, come cristiani, custodi di un messaggio universale, chi è il nostro “noi””.

“Che le parole violente e semplificatorie garantiscano a chi le pronuncia un grande consenso, questo è un fatto su cui dobbiamo meditare. Negli anni Trenta, quando gli slogan violenti risuonavano in Europa, piccoli gruppi di resistenti – tra i quali Josef Mayr-Nusser – si fermarono a riflettere e costruirono piano piano una nuova cultura. A volte a costo della loro vita. Anche noi oggi siamo chiamati a rispondere al male con il bene. Non da ingenui, ma da persone che sanno che solo nel bene l’uomo rimane umano e si può sviluppare in modo integrale. L’esperienza cristiana ci insegna a non giocare mai con le parole e ancor meno con la Parola”.

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