Il Guatemala che resiste

Migranti in Guatemala

Una lotta tra Davide e Golia, una lotta apparentemente impari. E’ quella che si sta svolgendo in Guatemala – e non da oggi, da decenni – tra l’apparato istituzionale del narcotraffico e le piccole organizzazioni di base. Da una parte, dunque, un gigante che ha a disposizione tutto (esercito, squadracce paramilitari, sistema giudiziario e naturalmente l’economia e la finanza) e dall’altra parte piccole postazioni di resistenza popolare – come tante formichine organizzate e resilienti – nelle città e nei più sperduti villaggi della selva.

Sono due modi diametralmente diversi e opposti di concepire la società e la vita, due “filosofie” confliggenti tra loro e se una è soverchiante e schiacciante nei risultati, l’altra – quella propriamente popolare – appare sconfitta, ma non arresa. In mezzo ci sta la società con risvolti di disperazione sociale quasi irrecuperabile così come è espressa dalle maras, bande giovanili che fungono da manovalanza del traffico di droga che in alcuni quartieri e zone sono diventate potentissime, arrivando ad uccidere senza pietà chiunque per pochi dollari. Ma ecco i due Guatemala che si fronteggiano come Golia e Davide.

Il Guatemala istituzionale-repressivo. E’ indubbio che oggi il Guatemala presenta una debolezza istituzionale derivante da almeno 36 anni di conflitti armati (1960-1996). Già prima, il legittimo governo del presidente Arbenz era stato cacciato da un golpe militare orchestrato dagli Stati Uniti e dalla United Fruit Company, una multinazionale che ha spremuto il paese reale come un limone esclusivamente per il profitto di pochi. Sono stati anni in cui i villaggi indigeni sono stati bruciati e distrutti, gli indios sterminati in modo pianificato, le comunità disperse con la politica della “terra bruciata”. Chiunque osava ribellarsi e denunciare la repressione governativa veniva eliminato. E’ capitato a migliaia di persone “anonime” e sconosciute, ma a fare notizia fu l’assassinio, nel 1998, del vescovo Juan José Gerardi, direttore del progetto interdiocesano guatemalteco di “Recupero della memoria storica”.

Oggi in Guatemala ben 9 ex presidenti sono inquisiti, hanno subito condanne in via definitiva o si trovano in un contesto giudiziario penale. Nel 2007 è stata creata ad hoc la Commissione internazionale contro l’impunità in Guatemala (Cicig) in seguito ad un accordo tra lo Stato e le Nazioni Unite. Ebbene, la Commissione ha potuto appurare che i gruppi clandestini “sono ben radicati nelle forze dell’ordine e delle forze armate e nel sistema carcerario”. E inoltre la collusione tra “alcuni alti rappresentanti del narcotraffico e i livelli più alti dello Stato guatemalteco”. Eccolo lo stretto – inestricabile – viluppo, come un nido di vipere, che tiene “legato” il Guatemala, prigioniero dei potentati economici basati sulla delinquenza organizzata che collude con le istituzioni statali ad ogni livello.

Il Guatemala che resiste e non si rassegna alla barbarie. Parte, questo spicchio di Guatemala resistente, dalle comunità indigene. Juana Velasco è presidente di Asoremi (Asociasion Red de Organizaciones de Mujeres Ixhiles), un combattivo gruppo di donne indie che si stanno organizzando in tutto il paese e che desiderano coinvolgere pure le donne “latine”. Juana Velasco è allo stesso tempo direttrice della Defensoria de la Mujer, casa di accoglienza che ha aiutato negli ultimi anni più di 4 mila donne vittime di violenza di genere e di etnia (da sempre le donne indie sono considerate inferiori in tutto). Cosa insegna la militanza politica di Juana e delle sue compagne di lotta? Che occorre “trasformare le minacce in opportunità”. Battersi quindi ad esempio contro le predicazioni dei pastori evangelici, presenti soprattutto nelle zone rurali povere dove le donne sono analfabete, che “tendono a giustificare le violenze facendole apparire come normali e si appellano all’unità familiare”. Il suo gruppo di donne denuncia i bar illegali dove, con la vendita di alcolici, “si nascondono la tratta di giovani donne e lo sfruttamento sessuale dei minori”. Osserva: “Combattiamo ogni giorno affinché le nostre figlie non subiscano la sorte che è toccata alle generazioni che le hanno precedute, questo per noi è uno stimolo fortissimo che riempie la nostra vita di coraggio e di gioia”.

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