Valle dei Laghi, l’attenzione dei CEF: “Anche una telefonata vuol dire tanto”

Serpeggia il rischio che i soggetti più vulnerabili, in condizione di stress da segregazione domestica, possano trovare sollievo apparente nell’oblio indotto dalle bevande alcoliche? Lo si potrà verificare a posteriori, una volta rientrata l’emergenza sanitaria vissuta da molti in situazione di solitudine ansiosa, ovvero il “virus della contemporaneità”, direbbe l’indimenticabile filosofo e accademico Zygmunt Bauman.

Serpeggia il rischio che i soggetti più vulnerabili, in condizione di stress da segregazione domestica, possano trovare sollievo apparente nell’oblio indotto dalle bevande alcoliche? Lo si potrà verificare a posteriori, una volta rientrata l’emergenza sanitaria vissuta da molti in situazione di solitudine ansiosa, ovvero il “virus della contemporaneità”, direbbe l’indimenticabile filosofo e accademico Zygmunt Bauman.

E proprio per non darla vinta nemmeno a quest’altra devastante “epidemia”, che seppur non virale ammala e miete vittime, i club ecologici familiari in Valle dei Laghi non mancano di prestare la loro opera di assistenza, naturalmente ligi all’osservanza delle prescrizioni governative del momento.

Sia a Padergnone che a Calavino le loro sedi rimangono impraticabili, “però siamo riusciti a organizzarci con le chiamate telefoniche e le e-mail”, precisano dai rispettivi Cef, quelli che fino a qualche anno fa erano denominati centri alcologici territoriali. In tempo di restrizioni degli spostamenti individuali, chi li frequenta abitualmente (gruppi di auto mutuo aiuto composti da una dozzina di membri sui 40-45 anni d’età media, e non necessariamente alcoldipendenti) avvertono la mancanza di un abbraccio divenuto, come ben sappiamo, uno dei primi comportamenti banditi dalle misure nazionali anti contagio.

“Bisogna rimanere a casa, ma non per questo rinunciamo al servizio – risponde Maura Zanoni, referente del Cef Vallelaghi con trent’anni di attività alle spalle – Possono chiamarci in ogni momento, una telefonata sembra poco ma vuol dire tanto: chiedersi come va, raccontarsi la giornata, parlare dei propri disagi e ascoltare quelli degli altri fa sentire che c’è interesse reciproco”.

Uscire dall’isolamento e dalla solitudine – non tanto in questa surreale e delicata contingenza – accantonando le insane abitudini di vita che intrappolano in duri conflitti interiori richiede grande forza d’animo.

“Non tutti la trovano da sé e riescono a superare la dipendenza, è auspicabile farsi aiutare e noi siamo qui per questo”, aggiunge la volontaria. Che puntualizza: “Noi non curiamo nessuno, non siamo medici. Mettiamo a disposizione l’ascolto e la nostra esperienza guardando alla persona, non al suo problema”.

Impensierisce e suona come un campanello d’allarme il sentore del servitore insegnante Piergiorgio Bonmassar: “Tutto il giorno chiusi in casa non aiuta, non ci sono sfoghi, e temo che il consumo di alcol possa essere molto maggiore di quel che noi riusciamo a vedere”.

In generale pare non demordano i nostalgici delle serate al pub che hanno iniziato, specie quelli nel fiore dell’età, ad adottare delle contromisure piuttosto bislacche per mantenere vivi i contatti: sfruttando le chat si condividono drink ovviando al distanziamento sociale. “Dobbiamo stare molto attenti in questo periodo perché – avverte il veterano di Vigo Cavedine – la situazione rischia di peggiorare”.

Angelina Pisoni, presidente de “Il Crocevia”, narra la sua esperienza associativa ai tempi del coronavirus: “Manca il contatto fisico, manca tantissimo, ma il nostro lavoro al fianco di chi ha bisogno di aiuto per uscire da questa dipendenza continua al telefono e serve molto. Per noi è importante ascoltarsi, condividere una gioia o un dolore, anche con tutti i limiti di questo brutto momento”.

Ovviamente ogni testimonianza fa storia a sé. Può subentrare una crisi d’astinenza, e la ricaduta oppure la depressione sono dietro l’angolo. A distanza di tempo, lo si può sapere solo dai familiari di chi ne è bersaglio. In queste ultime settimane, però, è tutto più complicato e anche dinamiche banali e scontate sono scombussolate dal venir meno della possibilità di guardarsi negli occhi e stringersi la mano.

Ora più che mai, nell’assoluta incertezza sul futuro ingenerata dalla pandemia, è essenziale rimanere in contatto l’uno con l’altro in forma tecnologica. Anche perché “nessuno si libera da solo, ci si libera insieme”, detto prendendo a prestito le parole del prete di strada don Andrea Gallo

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