Ingrid Perghem, l’infermiera in bicicletta che assiste in pazienti Covid a Rovereto

L’infermiera Ingrid Perghem lavora in rianimazione all’ospedale di Rovereto

Sullo sfondo il sole che tramonta sulla città di Rovereto, in primo piano una giovane donna che abbraccia la sua bambina in sella a una bicicletta. Sulle zainetto ha incollato un foglio con una croce rossa e sotto la scritta “infermiera”. Ingrid Perghem, 28 anni, è stata ritratta così un paio di settimane fa dal marito Richard –che ha postato lo scatto su Facebook raccogliendo oltre un centinaio di like-prima di partire in direzione dell’ospedale di Rovereto per il turno di notte nel reparto di rianimazione, attualmente dedicato completamente ai pazienti covid.

Ingrid è sempre andata al lavoro in bicicletta – conciliando la sua passione sportiva con il forte credo ambientalista – ma durante il lockdown mentre pedalava è stata insultata e minacciata: per questo è stata costretta a indossare il simbolo che identifica i sanitari. Eppure che, anche a detta degli esperti, le due ruote saranno il mezzo più adatto per la “fase 2”, ecologiche e a basso rischio contagio.

“Sono una dinamo, mi carico muovendomi”, spiega la giovane infermiera. Anche con la pioggia ogni giorno si reca da Besagno al S. Maria del Carmine in bicicletta. I tempi di percorrenza sono da vera sportiva: 20 minuti all’andata e 30 al ritorno. “Non mi pesa fare fatica, è il mio momento di decompressione. Da quando è nata Audrey, 21 mesi fa, però, il tempo per lo sport si è drasticamente ridotto quindi ho deciso di unire l’utile al dilettevole”, ammette Ingrid.

Nessun problema lungo il tracciato fino a che le regole per prevenire il contagio hanno impedito gli spostamenti sulle due ruote, salvo che per motivi di lavoro, come nel caso di Ingrid. “Sono stata fotografata e insultata. Anche le forze dell’ordine a volte mi rimproveravano per la mia scelta”, racconta. “Non mi sono fatta scoraggiare; al contrario spero proprio che questa emergenza spinga più persone verso la mobilità verde, come già avviene nel Nord Europa”.

Per la giovane operatrice sanitaria pedalare è il modo migliore per allentare lo stress fisico ed emotivo dei lunghi turni in rianimazione. “Quando il 10 marzo mi hanno chiesto di passare da anestesia a rianimazione per seguire i pazienti covid ho risposto subito di sì, ma quella notte non ho chiuso occhio. Temevo di non essere adeguata non avendo mai lavorato in quel reparto e avevo paura di contagiare la mia bambina”, dice l’infermiera.

Ingrid Perghem, infermiera a Rovereto

L’idea di mettersi in isolamento lontano da casa, infatti, non era praticabile. La piccola Audrey difficilmente avrebbe capito l’assenza improvvisa della mamma, così Ingrid torna a Besagno mettendo in pratica mille accortezze. Per poter continuare a lavorare, e volendo proteggere i nonni, il marito ha anche dovuto accantonare il suo lavoro di docente. “Non siamo eroi – afferma – bensì professionisti. Non mi è mai venuto in mente di tirarmi indietro”.

Ogni giorno, pedalando verso Besagno, nella mente di Ingrid ripassano però le immagini dello stanzone di rianimazione, di quei corpi, anche giovani, nudi a faccia in giù, circondati dalle fotografie dei famigliari, unico contatto con i propri affetti all’esterno. “All’inizio non è stato facile: arrivavano pazienti instabili con brutte polmoniti che inizialmente non sapevamo come trattare, navigavamo a vista. Per fortuna ho avuto colleghi meravigliosi che mi hanno saputo formare. Ora, a due mesi di distanza, abbiamo più conoscenze su questa malattia e i risultati si vedono”.

Ora che è iniziata la “fase 2”, Ingrid ne approfitta per stare all’aria aperta con la famiglia, convinta che l’attività fisica sia fondamentale anche per le difese immunitarie. “Temo, però, che la gente si lasci trasportare dall’entusiasmo. Ai cittadini noi sanitari chiediamo invece responsabilità: non è assolutamente il caso di festeggiare la libertà con grigliate tra amici. Spero inoltre che i governanti riconoscano l’importanza della sanità pubblica

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