La crisi italiana è un problema di sistema

Smettiamo di girarci intorno: la crisi italiana è un problema di sistema. Non è fare del catastrofismo dire che non funziona nulla: non la politica, chiusa nell’eterna ricerca dello scontro finale (ma ce ne eravamo accorti da tempo); non la burocrazia, che è contemporaneamente impigliata in una ragnatela di norme e normette e felice di esserlo perché si illude di essere il ragno che sta al suo centro; nemmeno la magistratura che dopo essersi per anni impalcata a fare il moralizzatore del paese si rivela organizzata come un centro di potere privo di deontologia sia normale che professionale (per la verità i suoi vertici sindacalizzati, perché è ingiusto coinvolgere in questo giudizio tanti magistrati che fanno il loro lavoro senza porsi l’obiettivo –ipocrita- di raddrizzare il mondo).

Una crisi di questa portata non si sa se potrà essere riassorbita come avvenne per altre crisi di sistema perché adesso c’è una novità che cambia tutto: il terremoto indotto dalla pandemia. Nei casi precedenti bene o male il sistema sociale reggeva, sicché si poteva contare sul disinteresse dei cittadini per disfunzioni che, non si capisce bene per quale miracolo, consentivano poi che tutto andasse avanti senza provocare sconquassi nella vita ordinaria dei cittadini. Questa volta c’è ragione di pensare che non sarà così. Gli effetti della pandemia minacciano conseguenze che sconvolgono gli equilibri sociali: il numero dei disoccupati negli USA è un fenomeno inquietante per dimensioni sin qui non immaginabili. Non consoliamoci pensando che lì non c’è in sostanza una rete di stato assistenziale che invece esiste in Italia, per cui le scosse potranno essere assorbite. Le risorse su cui si fonda il nostro sistema di welfare non vengono dal cielo, ma dal sistema economico e se quello finisce di fornirle o semplicemente se diventano necessarie in misura molto maggiore di quelle che possono arrivare, tutto salta.

Teniamo conto che lo stato brucia già nella prima fase tampone una quantità di miliardi che portano il bilancio pubblico ad un deficit stimato del 150% sul PIL. Non crediamo si possa pensare di andare oltre. Dunque bisogna trovare finanziamenti, vuoi dall’Europa, vuoi dai mercati, vuoi un po’ da una parte e un po’ dall’altra. Comunque la si metta, per averli bisognerà esser credibili e si fa fatica a sostenere che oggi il nostro sistema lo sia.

Non è solo questione della tenuta del quadro politico, che già non offre un gran spettacolo. Il governo non ha compattezza, il peso delle lotte interne alla coalizione è quasi impossibile da sostenere. La crisi sempre più evidente di quello che è a livello parlamentare il partito di maggioranza relativa costituisce una palla al piede che impedisce qualsiasi movimento: al premier che non può fare a meno del sostegno di quelli che l’hanno messo in sella, al PD che non sa con chi altri costruire una maggioranza alternativa che consenta di contrastare la destra, ma persino allo stesso Renzi che non crediamo sia così folle da gettarsi nel buco nero di una crisi di sistema al buio.

Le opposizioni sono paradossalmente nelle stesse condizioni. La pandemia ha tolto loro il favore di una pancia del paese che sognava la possibilità di cancellare con un atto di volontà il mondo nuovo che si profilava all’orizzonte. Che il mare si possa vuotare con una catena di secchielli sotto la regia di Capitan Salvini non può più essere creduto. A questo punto per proporsi come alternative le opposizioni avrebbero bisogno di un disegno politico che le legittimasse come più idonee a raccoglie fra UE e mercati quei finanziamenti di cui l’Italia ha disperato bisogno. Non ci pare proprio che siamo in queste condizioni.

Il nodo della riforma istituzionale è quanto di più complicato da sciogliere si possa immaginare. Per di più riguarda un problema di risorse interne da scovare che implica toccare tanti equilibri sociali. Basti pensare al tema, ineliminabile, di raccogliere un nuovo consistente gettito fiscale. Farlo con una tassa patrimoniale è una follia, perché graverebbe solo sugli onesti che hanno patrimoni dichiarati e non nascosti opportunamente. Bisognerebbe mettere seriamente in campo un drastico contrasto all’evasione fiscale, ma il solo modo per avere speranza di riuscirci è, come ha scritto autorevolmente Romano Prodi, bandire l’uso del contante costringendo alla tracciabilità di ogni transazione.

Qualcuno può pensare che lo si possa fare facilmente terremotando tutto un sistema di “guadagni” costruiti sull’evasione, più o meno ampia dei doveri fiscali, entrate che però sono redditi che tengono in piedi un settore non certo limitato della nostra società?

vitaTrentina

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