Israele, la politica del carciofo a danno dei palestinesi

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu vuole mantenere la promessa fatta alle elezioni del settembre scorso. foto AFP/SIR

La Valle del Giordano ha una particolarità: a prima vista – lo si nota a vista d’occhio passando e soffermandosi – sembra arida, desertica, sassosa, quando invece risulta fertile. Certi posti coltivati hanno una vegetazione rigogliosa, un bel verde scuro che contrasta con l’ocra tutt’attorno. Una specie di serra, ma naturale. Abitata da palestinesi, è nelle mire di Israele. Il premier Netanyahu l’ha ripetutamente promesso in campagna elettorale. Solo i tempi dell’annessione non sono del tutto chiari, se subito o nei prossimi mesi.

La tattica è quella che nei libri di storia viene chiamata la politica del carciofo – un pezzetto alla volta -, quando la strategia è più che chiara e riguarda la creazione della Grande Israele. Un espansionismo che cozza pesantemente contro i più elementari diritti dei palestinesi e non a caso si parla di segregazione di popolo: che i palestinesi se ne stiano pure nei loro cantucci e non abbiamo altro a pretendere.

Il fatto è che sempre più, negli ultimi tempi, i palestinesi vengono trattati come sudditi, senza diritti e senza prospettive.

Che una bella porzione della Valle del Giordano venga annessa, muta giuridicamente quella che di fatto è già una situazione di profonda ingiustizia. Una divaricazione di status complessivo che impressiona. I coloni israeliani hanno tutto quel che vogliono, acqua potabile, acqua per le piscine (a 40° potersi refrigerare è balsamo) e per le coltivazioni. Elettricità efficiente, strade percorribili. Avendo occupato già da tempo un territorio che non è loro in oltraggio al diritto internazionale e alle ripetute risoluzioni dell’Onu.

Per i palestinesi invece l’acqua scarseggia nelle case e immaginarsi se ce n’è per l’agricoltura; l’elettricità va e viene. È ben vero che ancora durante l’occupazione giordana (finita nel 1967) erano stati costruiti diversi pozzi, ma anche qui c’è una discriminazione – pesante, iniqua – e sta nel fatto che nelle perforazioni non si può andare oltre i 100 metri (lo vieta l’autorità israeliana). Con la conseguenza che per gli agricoltori palestinesi l’acqua è più salata che dolce e ciò impedisce la coltivazione di ortaggi; così sono costretti a coltivare palme da dattero, che rende molto meno perché soffre della competizione dei coloni.

Sembrano quisquilie, ma invece hanno conseguenze devastanti per la già fragile economia palestinese. Palesando la sensazione che non si progredisce, non si va avanti ma si arretra, peggiorando. Con gravissime ripercussioni anche sul vivere sociale, l’umore della gente, una condanna sicura per i giovani.

Verrà creato una sorta di recinto attorno a Gerico, il capoluogo della valle, delimitando un nuovo confine tra la Valle del Giordano e la Cisgiordania. E tutt’attorno numerose “enclavi”, quasi delle riserve indiane, che faranno sì capo all’Autorità palestinese, ma risulteranno isolate e sole.

È molto preoccupato anche papa Francesco e l’ha più volte espresso. Così non si va certo verso la creazione di due Stati (Israele e Palestina) e viene sminuita nella sua genuinità la Terra Santa come luogo di incontro delle tre religioni abramitiche.

Forse solo una vittoria di Biden negli Stati Uniti a novembre potrebbe far rinsavire una classe politica israeliana miope e ottusa nelle sue scelte perché così non si va certo verso la sicurezza neppure per il popolo israeliano, quell’area rimarrà comunque una polveriera. Col voler umiliare i palestinesi che diventa unica sbiadita bandiera.

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