Le domande cruciali della “Generazione Covid”

“Non ne possiamo più”. Tanti giovani lo vivono soprattutto come un tempo che logora, perché sembra destinato a non finire, come la curva dei contagi che sale, scende e poi risale sospinta dall’ultima variante. Tanto che per loro la libertà dell’estate scorsa, ottenuta o riconquistata forse con troppa fretta, si è trasformata nella schiavitù di un autunno e di un inverno interminabile.

È facile prevedere che si faranno sentire a lungo le ferite di questa prigionia, psicologica e fisica insieme, nell’esistenza futura dei nostri “over 16” che qualcuno, generalizzando, ha già ingenerosamente definito come “Generazione Covid”.
Ci aiuta a capire lo psicoterapeuta Massimo Recalcati che denuncia la diffusa “presenza tra i giovani di sintomi inquietanti: depressione, agìti autolesivi, autoreclusione, aggressività, somatizzazioni, sviluppo di dipendenze”. “Il disagio giovanile – spiega lo studioso – è inevitabile proprio perché la giovinezza esige l’aperto e non il chiuso. Con l’aggravante che la presenza delle varianti insinua nuovi dubbi su quando la vita potrà ritrovare il nuovo corso normale.

Da una parte dunque c’è la spinta della vita a volersi affermare senza riconoscere i limiti, a voler appartenere alla vita e dall’altra c’è la necessità di preservare i limiti di fronte al ritorno insistente della malattia. É in questa stretta oscillazione che la vita dei nostri figli, come la nostra, è costretta a vivere”.
Secondo una ricerca internazionale, curata da Osea Giuntella per l’Università di Pittsburgh, c’è stato un raddoppio dei sintomi depressivi dei giovani rispetto al periodo pre-Covid ed il commissario dell’Unione Europea Nicholas Schmitt ha parlato pochi giorni fa di una “generazione disperata”.

L’occhio attento di docenti ed educatori dice che questo disagio trova per lo più rifugio nell’ambiente dei social, con un’assuefazione al piccolo schermo che s’abbina a stanchezza, “come fossero spenti”. Le mille ricerche sulla didattica a distanza documentano un bisogno fisico di tornare a rivedere i compagni, a salutare i bidelli, a “sentirsi classe” insieme ai prof. L’ipotesi di allungare la scuola a fine giugno rappresenta per loro e per tanti docenti una risposta sbagliata. E poi c’è la drastica riduzione dell’attività fisica, finora sottovalutata, che ha privato molti dei nostri giovani dell’ossigeno più tonificante in condizioni normali: come recupereremo quest’ anno perso? A proposito, i ricercatori dell’Istituto Toniolo hanno colto un “forte pessimismo” sulla visione del lavoro e del futuro che i giovani coltivano: nell’impossibilità di programmare periodi di studi all’estero o di poter contare su lavori stagionali (rider a parte), risultano appannate anche le altre prospettive di lavoro.

Come aiutarli a vedere luci in fondo al tunnel? Come rispondere a quella che papa Bergoglio ha definito addirittura una “catastrofe educativa”? La risposta principale sta nel mettersi seriamente in ascolto dei giovani, come provano a fare i responsabili dei nostri oratori almeno per la fascia 20-30. Insieme, dobbiamo cogliere quest’emergenza epocale per dare fiducia ai giovani, lasciarli liberi di esprimere il loro protagonismo. Accompagnandoli, non sostituendoli e tanto meno coccolandoli. Lasciando che anche in questo tempo di fatica possano sperimentarsi (vedi l’iniziativa “Passi di prossimità”) in un’apertura ai bisogni dell’altro, quindi frequentando anche con maggiore facilità i luoghi loro riservati.

“Formazione significa dare una forma alla forza della vita – scrive Recalcati a proposito di questa consapevolezza giovanile – questa forma però non è singolare ma anche plurale. E’ una lezione difficile da cogliere per figli che sono cresciuti dentro un mondo che ha escluso l’altro e ha fatto esistere in modo idolatrico solo il nostro Ego. Il magistero del Covid ha dimostrato invece che l’Altro non è solo il mio limite ma anche la mia possibilità di salvezza”.
Perché la “Generazione Covid” non debba scontare maggiormente il debito di una pandemia ingiusta servono le risorse del Piano “Young generation” ma soprattutto la decisione del mondo adulto di fare spazio ai giovani, ai ragazzi e alle ragazze, perchè ritrovino la gioia di occuparlo e “viverlo” appieno anche con la mascherina.

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