Le presenze umili, utili a tener insieme il paese

lo spunto

A feste finite posso dire che quest’anno il più bel regalo l’ho ricevuto dal mio parroco. Sì, è stato quando appena prima del canto del Te Deum il don ha ricordato a noi fedeli i motivi per cui ringraziare Dio nell’anno appena trascorso. Sì, ringraziare, nonostante tutto intorno ci ricordi quanto sia difficile vivere. E tra le motivazioni per cui ringraziare ha ricordato la novità della sua presenza, come parroco; da settembre, infatti, ha cominciato il cammino in mezzo a noi e ci ha sussurrato queste splendide parole: “Vi assicuro che vi custodisco nel cuore, non ho altro scopo, non è che fare il parroco per me voglia dire fare chi sa e sperare chissà che cosa, no, se non solo pensare a voi, pregare per voi, lavorare per voi, è l’unico scopo della mia vita, non ho altri motivi”. È l’unico scopo della mia vita. Nel mio egocentrismo quotidiano non ci avevo mai pensato, eppure è così, e come sempre, delle cose preziose ci si rende conto solo quando rischi di dovertene privare, quando non è scontato che ci siano sempre. E allora grazie per questo dono e grazie al don per questa preziosa missione”.

Giuliano Preghenella

Questa lettera da Roveré della Luna, il paese sull’ansa del fiume Adige che attraversa la valle e ne lambisce le sponde (come un quarto di luna, appunto), un paese “cooperativo” dal quale molte realtà trentine potrebbero trarre buoni esempi, merita una breve riflessione “d’apertura” nell’anno che s’avvia fra incertezze e timori.
Lo “spunto”, infatti, non è solo espressione di un sentimento individuale di gratitudine per una presenza spirituale e religiosa assicurata (il parroco!), ma appare quasi un “segnavia”, capace di indicare la direzione che i sentieri della vita – antichi e nuovi – devono prendere verso il futuro, per “ricostruirlo” in comunità. Senza questa ricostruzione è vano attendersi una convivenza di pace, di giustizia.

Per stare insieme, però, occorrono persone con le quali poter camminare, insieme. Presenze. Fino a non molti anni fa erano ben note queste figure di riferimento che “puntellavano” le comunità. Il sindaco, più un padre cui rivolgersi che un politico con cui schierarsi, il parroco, consigliere umano prima che ministro di Dio, la levatrice, il medico condotto (una realtà caratterizzata da grande dedizione, diversa dal “medico di base”, funzionale a un sistema), i maestri di scuola, i bibliotecari radicati… Poi le presenze dei lavori cosiddetti umili, che sono poi i più importanti: la commessa del negozio, il postino, la telefonista capace di rispondere con voce umana, senza delegarla a un “premi uno, premi due…” che prolunga in maniera esasperante, e spesso inconcludente, le attese.

Se c’è una cosa che la pandemia, anche con le sue imprevedibili conflittualità sociali ha confermato, è che per raggiungere un futuro più equo occorre investire in uomini, in donne, in presenze, in relazioni e famiglie, più che in eventi, spettacoli, strutture.

La presenza del parroco – e i motivi che il lettore ha di gioirne – si inserisce in questo contesto di ritrovata comunità. è bene esserne consapevoli. Non è solo un prete che va ad occupare una casella vuota. È un segno di futuro, che va curato e che deve moltiplicare gli impegni comunitari degli stessi cittadini insieme, di tutte le appartenenze e credenze, perché la sua non è una presenza solo di religiosità, ma di comunità (che è poi il fine ultimo della testimonianza cristiana e della redenzione: “Ut unum sint”… Lo proponeva anche don Guetti con l’ “Unitas” cooperativo, come “Unità” ripeteva Chiara Lubich, accendendo nei paesi la fiammella dei suoi piccoli focolari.

Il nuovo parroco, nel rimarcare la sua promessa e impegno, sembra essere consapevole non solo di un ruolo, ma di una prospettiva che riguarda anche il destino civile di una società (il virus ha pur mostrato che esistono cose che sovrastano le nostre volontà). Ma “fare il parroco” non è una cosa scontata. Occorre uscire dalle tentazioni autoreferenziali (ben rare ormai, anche questo è diventato un mestiere “umile”), dalle pendolarità che usurano il fisico e piegano la mente, dalla burocraticità dei riti, dal voler “fare tutto”. Occorre saper ascoltare e prendersene il tempo. Occorre farsi aiutare, tornare nelle case senza timore di essere respinti, star vicini agli anziani, trascurando magari altre funzioni, per rassicurarli nelle loro giornate a fronte della solitudine ansiogena che vivono. Seguire le coppie in difficoltà: come possono educare cristianamente i figli, se si sentono escluse? Un sacrestano che tenga aperta la chiesa e animi una preghiera non dovrebbe essere troppo difficile da motivare… e poi bisogna affidarsi con fiducia di Spirito alla loro fede e passione civile. Benvenuti.

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