Morto papa Benedetto XVI. Nel 2005 si definiva “un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore”

Foto Gianni Zotta

“Cari fratelli e sorelle, dopo il grande Papa Giovanni Paolo II, i signori cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore“. Con queste parole papa Benedetto XVI, morto sabato 31 dicembre all’età di 95 anni, apriva il suo pontificato martedì 19 aprile 2005.

Pochi giorni dopo, parlando ai cardinali, papa Ratzinger confessava come nel suo cuore albergassero due diversi sentimenti al momento dell’elezione: “un vivo desiderio del cuore di ringraziare e un senso di umana impotenza dinanzi all’alto compito che mi attende”.

Il teologo aveva incontrato anche una delegazione di pellegrini arrivati dalla Germania il 25 aprile 2005. “Innanzitutto – esordiva nel suo discorso – devo scusarmi per il ritardo. I tedeschi sono famosi per la loro puntualità. A quanto pare, sono già molto italianizzato”, ammetteva. E anche qui papa Benedetto XVI, come nella benedizione apostolica “Urbi et Orbi” e come nel discorso ai cardinali, manifestava la propria umiltà: “Chiedo la vostra indulgenza se commetto errori come ogni uomo, o se qualcosa di quello che il Papa deve dire e fare secondo la propria coscienza e secondo la coscienza della Chiesa resta incomprensibile. Chiedo la vostra fiducia. Se rimaniamo uniti, allora troviamo il giusto cammino”, aveva detto ai fedeli arrivati dalla Germania.

L’EDITORIALE DI DON IVAN MAFFEIS

Gli abitanti del villaggio risero del clown che si avvicinava loro in modo concitato per avvertirli del fumo che si stava propagando ben oltre i confini del circo. Non gli credevano, non lo prendevano sul serio. Questa storia, ripresa dal filosofo Kierkegaard, apre il libro “Introduzione al cristianesimo”, scritto dal teologo Joseph Ratzinger.

Partiva da questo punto l’editoriale di don Ivan Maffeis, direttore di Vita Trentina nel 2005, quando veniva eletto papa Benedetto XVI. “L’immagine del clown – scriveva don Ivan – nella penna del giovane professore bavarese, gli serve per disegnare se stesso nel suo ruolo di teologo: egli si sente paludato negli abiti di un lontano medioevo, per cui può dire ciò che vuole, ma si ritrova comunque incapace di farsi ascoltare: ‘Tutti sanno già in partenza che egli è, appunto, solo un povero clown’, annota con amarezza”.

Foto Gianni Zotta

Il clown è acuto – continuava don Ivan -, sa che per comprendere gli uomini ed essere da loro compreso, non può rimanere legato a formule fisse del passato. Nel contempo, avverto che per il rinnovamento della Chiesa non è sufficiente nemmeno darsi una ripulita dal belletto o cambiare gabbana. Il cuore del problema è un altro. Oggi in Europa la dicotomia non è più fra credenti e non, ma passa all’interno di ciascuno, alle prese con una fede che conosce anche gli abissi dell’incertezza e dell’incredulità. ‘Non si sfugge al dilemma di essere uomini’, commenta al riguardo, dando così un nome al credente e all’incredulo che convivono in ognuno”.

“Ratzinger ipotizza che proprio questa nuova situazione – scriveva don Ivan -, che impedisce di chiudersi in sicurezze a buon mercato, possa diventare luogo di confronto e di crescita”.

“Nel tempo del disincanto e del disorientamento, la sfida rimane quella di ridare fiato alla fede, di rientrarla nell’essenziale“. Proprio quell’essenziale che, secondo il giornalista ed intellettuale trentino Piergiorgio Cattani, papa Benedetto XVI è stato capace di incarnare dall’inizio del suo pontificato, nel 2005, alla fine, avvenuta nel 2013 con l’atto di rinuncia (qui il link alla riflessione di Cattani).

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