Strani incroci tra grande e piccola politica

Credit: Gianni Zotta

In questi giorni stiamo vedendo gli incroci fra la grande e la piccola politica. Da un lato c’è l’anniversario dell’aggressione russa all’Ucraina, un evento che sempre più si rivela come uno spartiacque storico. Dall’altro ci sono gli eventi della politica interna: la faccenda del superbonus edilizio, l’elezione del nuovo segretario del PD, le nomine ai vertici delle grandi aziende di stato.

Le due dimensioni si intersecano inevitabilmente. La guerra ai confini dell’Europa ha riportato sulla scena la fragilità dell’equilibrio fra le grandi potenze. È bastato che l’autocrate di Mosca perdesse i freni inibitori (in un sistema di quel genere mancano perché non esistono contrappesi) per accendere una sfida contro la pur traballante unione europea: non quella ancora per lo più burocratica di Bruxelles, ma quella che si avviava tra mille difficoltà e contrasti a creare un nuovo polo che si frapponeva fra la triade dei tradizionali “imperi”: americano, russo e cinese.

L’Italia per un caso era entrata in questa contingenza sotto la guida di un politico di alta statura, Mario Draghi, fatto poi cadere dalle gelosie micromani di Lega, M5S e Berlusconi. Oggi deve cercare di rimanere in gioco con una leadership espressa dal voto democratico, ma condizionata inevitabilmente da una storia di revanchismo e passata marginalità: non le condizioni migliori per gestire la politica internazionale in tempi molto complicati. Il governo deve fare i conti con un Paese sfibrato da anni di lotte politiche senza costrutto, il che ha favorito l’instaurarsi di enclave feudali, di grumi di sottopotere, nonché l’affermarsi di un sistema di produzione di opinione pubblica affidato ai nuovi predicatori televisivi degli ormai innumerevoli talk show. In questo quadro continuano a venire al pettine nuovi nodi, perché quel che si è buttato al vento negli anni di esaltazione demagogico-populista ci si sta ritorcendo contro.

La vicenda del superbonus edilizio è emblematica. Una regalia costosissima per di più a vantaggio non certo dei diseredati o dei precari (che non hanno case da rifare), che ha creato, come era facile prevedere, aumenti ingiustificati nel prezzo dei materiali, truffe piccole e grandi, e di conseguenza un buco nei conti pubblici di circa 120 miliardi, ovvero più o meno la metà del finanziamento del PNRR e un paio se non più di leggi finanziarie. Il governo è stato costretto a mettere mano alla scure, perché la cosiddetta ristrutturazione morbida era semplicemente impossibile in un contesto di diatribe generalizzate fra i partiti: come sempre in Italia, prima si taglia e poi si vede di aggiustare un po’ quel che si è tagliato. Non proprio una politica di prim’ordine.

Del resto per gestire passaggi di questo tipo sarebbe necessario poter avere una dialettica costruttiva fra maggioranza e opposizione, perché solo questa produce un clima di solidarietà nazionale. Non c’è traccia di qualcosa di simile, certo anche perché la maggioranza della maggioranza non capisce l’importanza di una operazione del genere e la avversa, ma soprattutto perché la principale opposizione che, piaccia o meno, rimane il PD, è in panne per le lotte intestine sulla segreteria. Non è solo questione di un sistema poco credibile di doppia elezione, prima fra gli iscritti, poi fra chiunque (senza alcuna garanzia che non si tratti di voti dati a casaccio senza alcun impegno serio), ma di un contesto di scontri fra un sistema di “tribù” (chiamarle correnti è una parola grossa) che non cesseranno di esistere chiunque vinca e che anzi può darsi si moltiplicheranno proprio in conseguenza degli esiti del voto.

È in questo contesto generale che il nostro Paese dovrà affrontare le due emergenze che abbiamo davanti: quella grande di una situazione internazionale che nessuno può prevedere come evolva e che certamente non è possibile gestire volontaristicamente; quella più limitata, ma non meno incisiva nell’immediato, di un quadro interno che ha bisogno di ritrovare strumenti per stabilizzare l’uscita dalle confusioni degli ultimi decenni e in specie da quelle generatesi con l’esperienza della pandemia.

Sarebbe allora importante rilanciare la presenza di agenzie sociali in grado di formare opinione pubblica matura, di rigenerare una cultura dell’appartenenza solidale, di ristrutturare un sistema di valori sociali condivisi superando le frammentazioni di un individualismo esasperato. Non si può certo lasciare questo compito all’industria dello spettacolo e della comunicazione che per fare audience non presta alcuna attenzione a questi doveri sociali (anche se si arrabbia non poco quando glielo si fa notare).

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