Orsi trentini e polemiche, estremismi in letargo. “L’orso va gestito senza demonizzarlo”

Il 2023 – segnato dalla tragica aggressione al giovane Andrea Papi – è stato caratterizzato dall’esplodere delle contrapposizioni intorno alla presenza degli orsi in Trentino.

Dopo essersi ben nutriti a ottobre per ingrassare in vista dell’ibernazione, alimentandosi con le risorse naturali, ma anche avvicinandosi ai campi coltivati per cibarsi di mais, mele e noci rimasti al suolo dopo la raccolta – e infatti si sono registrati tre investimenti a Mezzana, tra Tavodo e Sclemo nel comune di Stenico e a Covelo nel comune di Vallelaghi -, nelle prossime settimane gli orsi trentini torneranno nelle loro tane. L’arrivo dei primi freddi “raffredda” anche le polemiche che nel corso del 2023, segnato dall’evento più tragico dall’inizio del progetto di reintroduzione dell’orso bruno in Trentino, con la morte il 5 aprile di Andrea Papi, nei boschi sopra Caldes, hanno visto la contrapposizione a volte anche feroce tra ambientalisti e autorità locali, tra ordinanze di abbattimento, impugnazioni delle stesse, aumento inaspettato di orsi trovati morti (che ha fatto adombrare sospetti di azioni di bracconaggio, già verificatesi in passato).

“E’ indubbio che le aggressioni avvenute nel passato e l’aggressione mortale ad Andrea Papi verificatasi il 5 aprile hanno contribuito al montare di una paura originata da forti spinte emotive, che deve essere politicamente governata per evitare ulteriori gravi avvenimenti”, ragiona Maurizio Indirli, che alla metà degli anni Novanta del Novecento con il Comitato per la Salvaguardia dell’Orso Bruno delle Alpi (poi costituitosi, con l’appoggio della Lipu, nell’Associazione Internazionale ORSO), sostenne l’impegno del naturalista trentino esperto di plantigradi Fabio Osti e degli altri esperti del Gruppo Operativo Orso Trentino, e promosse una serie di azioni di stimolo, sensibilizzazione e pressione pubblica per rendere la salvaguardia dell’orso una questione di rilevanza italiana per la difesa della biodiversità, fino a che non si giunse, nel 1996, all’approvazione in ambito europeo del Progetto Life-Ursus.

Maurizio Indirli, a metà anni Novanta coordinatore del Comitato per la Salvaguardia dell’Orso Bruno delle Alpi

Indirli, il Progetto Life-Ursus, che portò nel 1999 alla liberazione dei primi due esemplari, Masun e Kirka, vide il contributo di personale della Pat, del Parco Adamello Brenta, di altre istituzioni, del volontariato. Furono fatti accordi operativi con le quattro province confinanti con Trento, con l’Associazione Cacciatori Trentini…

Che collabora tuttora al monitoraggio degli orsi…”

… con associazioni ambientaliste e numerosi altri enti e organizzazioni. E un sondaggio, effettuato dalla DOXA a metà degli anni Novanta, tra 1.550 abitanti dell’area interessata dai rilasci si rivelò a favore.

“Sì, il 70%. Ma la percentuale raggiunse addirittura l’80% con l’assicurazione di adottare misure di prevenzione dei danni e gestione delle situazioni di emergenza.

Oggi chi vive nei pressi delle aree dove l’orso è più presente è arrabbiato.

La rabbia deve essere mitigata tramite interventi concreti per ridare fiducia e senso di padronanza nella gestione dei plantigradi.

Concretamente?

E’ essenziale ragionare su una soglia massima di orsi rispetto al territorio (o ai territori) in esame, ovvero valutare la Social Carrying Capacity (SCC, la soglia di accettazione sociale), comunque in un’ottica di conservazione e non di abbattimenti e/o deportazioni indiscriminati; a tal fine è indispensabile effettuare un periodico censimento il più preciso possibile della popolazione ursina.

Come valutare questa soglia massima?

Non può essere una valutazione estemporanea. Sarebbe opportuno effettuare nel 2024 una conferenza focalizzata sulla questione, con la partecipazione del Ministero dell’Ambiente e della Sostenibilità ecologica, dell’Ispra, della Provincia di Trento, del Parco Naturale Adamello Brenta (Pnab), del Muse, dell’Università e altri enti scientifici, rappresentanti delle istituzioni locali, organizzazioni ambientaliste, sociali, politiche e del territorio. PNAB, escluso dal 2012 dalla gestione dell’orso, deve tornare ad essere un attore fondamentale.

Al fine di?

Giungere alla creazione di un comitato scientifico permanente adibito alla gestione del fenomeno dei grandi carnivori in Trentino. In equilibrio tra selvaggità e antropizzazione, la finalità è quella di tutelare l’incolumità delle persone, delle proprietà umane e nello stesso tempo di salvaguardare l’Ursus arctos sulle Alpi perché è una specie autoctona protetta a livello nazionale ed europeo, ha valore storico- culturale, è un indicatore biologico positivo per l’ecosistema, è un marchio di qualità ambientale, ha valore emotivo per il pensiero, la fantasia e l’immaginazione degli umani, ma soprattutto perché è una specie “ombrello”, essendo la sua protezione un fattore chiave per la conservazione di ampie aree geografiche importanti per altri esseri viventi. A tale comitato deve essere demandato il compito di emettere le linee guida e attuare le decisioni per la gestione dei grandi carnivori nel Trentino, nel rispetto completo delle prerogative di autonomia, evitando contrasti tra livello nazionale e locale.

Si discute anche di come tenere sotto controllo il numero degli orsi.

Questa conferenza dovrà riguardare anche le metodologie da adottare a questo scopo, individuando azioni graduali e meditate. Al contrario, la rimozione brutale di un elevato numero di orsi, oltre ad essere ritenuta infattibile dal punto di vista pratico (problemi normativi, difficoltà e costo delle catture, impossibilità di individuare siti di trasferimento per decine di animali), significherebbe riportare la specie sul baratro dell’estinzione.

Dopo il grande successo del Progetto Life-Ursus, qual è il messaggio che si deve dare oggi in Trentino?

Di saper continuare a gestire l’orso senza demonizzarlo, investendo sugli aspetti positivi e mitigando il conflitto attuale. Questi concetti sono stati ribaditi dal Gruppo grandi carnivori del Club alpino italiano (Cai) ad aprile: “La presenza degli animali selvatici nell’ambiente naturale dei nostri monti è un privilegio da saper cogliere e rispettare senza viverlo come un limite, assumendoci quasi certamente qualche onere e osservando alcune importanti regole”.

Anche il Muse, in un documento diffuso l’8 maggio scorso, ha insistito sulla fondamentale importanza della conoscenza accumulata da parte della comunità scientifica sulle problematiche relative all’orso bruno.

L’appello del Muse recita: “In una fase storica segnata dall’acutizzarsi di tensioni sociali, non di rado legate a dinamiche ambientali, climatiche, ecologiche e sanitarie fortemente stressate dall’azione umana, rinnoviamo l’invito a tutte e tutti a continuare a dare valore alla conoscenza e al dialogo costruttivo, nella convinzione costituiscano le uniche possibili leve per affrontare le sfide del presente”.

Attualmente la gestione dei plantigradi è in carico al Dipartimento Protezione Civile Foreste e Fauna.

“E’ sbagliato, perché gli orsi devono essere considerati una risorsa e non una calamità. La ricerca scientifica, il parere degli esperti, e non l’approccio ideologico, possono suggerire tecniche, quali anche la sterilizzazione, pur con prudenza, per ridurre la velocità di riproduzione e tenere la popolazione sotto controllo. Fondamentale è intervenire sugli orsi dannosi, problematici e pericolosi, con decisioni che possono arrivare fino all’abbattimento, come già previsto dal Pacobace (Piano d’Azione interregionale per la conservazione dell’Orso bruno delle Alpi Centro-Orientali) ed effettuato in passato.

Proprio la gestione degli esemplari problematici suscita le frizioni più forti.

Le decisioni devono essere rapide e condivise sulla base della definizione di protocolli chiari per la gestione delle situazioni critiche, soprattutto con riguardo alla catena decisionale tra ministeri, enti preposti (soprattutto ISPRA), organizzazioni scientifiche e realtà territoriali nella massima trasparenza e condivisione delle scelte, nell’applicazione, come già detto, delle prerogative dell’autonomia.

La cattura o l’abbattimento di un esemplare pericoloso di orso non devono essere un tabù.

No, ed erano inseriti fin dalle origini nel progetto Life-Ursus. Per quanto riguarda il confinamento post-cattura di plantigradi problematici in santuari o oasi faunistiche, va detto che gli orsi nati selvatici non si adattano alla cattività e secondo gli esperti di grandi carnivori ad una vita in gabbia sarebbe preferibile l’abbattimento. Ma dipende molto dalla tipologia del centro di accoglienza. Ma la diminuzione del numero degli orsi non può essere l’unica risposta. Vanno perseguite tutte le altre strade per ridurre il verificarsi di incidenti o situazioni sgradevoli.

Sia il Cai sia il Muse invitano in qualche modo a ritornare alla scienza.

Gli esperti devono tornare ad avere un ruolo importante. In un’eventuale rivisitazione del Pacobace il coinvolgimento formale di tecnici del settore (inclusi Pnab, Muse e Università) oggi non è previsto. Dal 2004 la gestione dell’orso è in carico totalmente alla Pat: il Parco Adamello Brenta – che aveva gestito nella sua interezza il Progetto Life-Ursus – MUSE, università ed altri enti sono coinvolti in modo insufficiente, esclusi, o addirittura tacitati. Deve essere quindi ripristinato in modo continuativo un approccio collegiale integrato di tutte le risorse scientifiche e umane presenti sul territorio trentino.

Come rendere più efficaci e tempestivi gli interventi sugli esemplari problematici?

Nel concerto con i livelli istituzionali superiori (Italia ed Europa), è fondamentale raggiungere una maggiore autonomia gestionale da parte delle amministrazioni territoriali.

Un aspetto cruciale nelle aree più frequentate dall’orso è la gestione dei rifiuti.

L’orso è attirato proprio dalla spazzatura, essendo notoriamente opportunista; con il tempo e le occasioni, può diventare prima confidente e poi problematico, perdendo la sua naturale ritrosia nei confronti dell’essere umano. Ma il programma per dotare di contenitori antisfondamento i territori più interessati ha tempi inaccettabili.

La comunicazione è un fattore cruciale.

Importante è la proposta del Pnab di istituire e mettere a disposizione delle comunità locali una “Unità permanente di consulenza orso”, che sia d’aiuto per affrontare i temi connessi alla presenza dei grandi carnivori sul territorio e concorra a realizzare una comunicazione efficace e corretta, sia nei confronti dei residenti sia dei visitatori. Ma non è stata presa in considerazione dalla vecchia giunta provinciale. Vedremo. Ma non sono ottimista. Le forze politiche che esprimono questa amministrazione non hanno mai brillato per sensibilità ambientale.

Più comunicazione significa meno incidenti?

“Senz’altro, sì. Oggi è richiesto uno sforzo straordinario, facendo leva sulla razionalità per affrontare emotività e paura.

In sintesi, alcune azioni?

Nel documento che ho preparato ancora nel giugno 2023, dopo aver sentito personalmente vari esperti del settore riguardo la gestione dell’orso, ho sintetizzato un decalogo. Riassumendo, le principali azioni debbono essere: ripristino di informazioni corrette sul progetto di reintroduzione dell’orso, che ha centrato gli obiettivi prefissati e rappresenta un successo internazionale che dà lustro al Trentino; contrasto alla circolazione di notizie errate sugli accadimenti riguardanti i grandi carnivori; focalizzazione dei fattori di rischio, quali la gestione degli orsi problematici; lotta al bracconaggio; valorizzazione della presenza dell’orso come simbolo del territorio, superando i momenti di tensione con le comunità locali e il mondo degli allevatori e dell’agricoltura (vanno incrementate le politiche di indennizzo e prevenzione dei danni); aumento delle risorse per irrobustire la squadra di emergenza orso; gestione accurata dei rifiuti ed eliminazione delle mangiatoie non autorizzate per la fauna selvatica; definizione di regole ferree di comportamento nelle zone di elevata frequentazione ursina; graduazione delle aree del Pnab e limitrofe in zone di riserva generale e integrale; installazione di una chiara e mirata segnaletica nelle aree interessate dalla presenza di orse femmine con piccoli o di individui con comportamenti potenzialmente pericolosi; realizzazione di materiale informativo aggiornato da distribuire alle comunità, agli operatori locali, e ai frequentatori della montagna.

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