Che guaio se il paese si arrende alla politica-spettacolo

Se ci limitassimo a considerare quel che trasmettono giornali e TV relativamente alla politica italiana potremmo pensare di vivere in un momento splendido. Infatti, solo con queste premesse si potrebbe giustificare l’accanimento con cui i partiti discutono soltanto di elezioni, candidature, equilibri di coalizione o posti di comando nelle loro strutture. Il resto sembra essere al più contorno per qualche frase fatta.

Incombe una crisi molto grave in Medio Oriente? Limitiamoci a dire o che stiamo con gli alleati storici (senza comprometterci più di tanto) o ad invocare grandi iniziative di pace (che nessuno sa come potrebbe avviarle un paese con un peso piuttosto scarso come è il nostro).

In Ucraina siamo di fronte alle difficoltà di Zelensky cui scarseggiano munizioni mentre la Russia sfrutta le grandi risorse del suo sistema? In parlamento l’opposizione PD per stare fintamente unita si accoda al populismo pentastellato. Stiamo per affrontare lo spinoso tema delle autonomie regionali differenziate? Anziché mettere in chiaro che sul tema dei LEP, gli standard di prestazione che devono essere garantiti in tutto il paese, siamo in alto mare si inseguono da un lato le bizze ideologiche di Salvini e Calderoli e dall’altro ci si balocca con la solita storia del fare le barricate per lasciare tutto più o meno come sta (non certo bene…).

Si potrebbe andare avanti. La situazione drammatica all’ex Ilva di Taranto non viene affrontata con il rigore necessario che richiederebbe di mettere sotto la lente le trovate dei decenni passati dove molti, politici, magistrati, giornalisti, hanno fatto populismo con conseguenze che adesso paghiamo care. Poi ci sarebbero da valutare vari problemi strutturali: l’inceppamento (ma in certi casi qualcosa di peggio) del sistema sanitario, i problemi delle pubbliche amministrazioni troppo spesso gravate di burocratismi che ne compromettono il funzionamento mentre lasciano spazi alla corruzione dei furbi, il sistema scolastico in affanno su cui si pensa di intervenire con fantasiose trovate come il liceo del made in Italy. Solo esempi.

In questo contesto sembra che il cuore della nostra vita politica sia sapere se Giorgia ed Elly (ormai anche le parole sono piegate al vezzo della telenovela) si candidano o meno alle Europee, se faranno o no il duello televisivo che fa audience (e dunque per chi lo ospita porta inserzioni pubblicitarie). Poi c’è il problema del come fare le liste per le Europee. Qui ogni partito dà più o meno per scontato di avere un certo numero di “seggi sicuri” per i quali non ha nessuna importanza la fisionomia del candidato: chiunque ci metti verrà eletto. Non è detto che sarà proprio così, perché i collegi sono enormi e l’elettorato mobile, ma forse in qualche misura può essere vero, e dunque avanti nella lotta per conquistare le posizioni sicure da parte di una classe politica che ormai lo fa come unica professione e dunque se resta fuori sparisce.

Non parliamo del tema delle elezioni regionali. Anche qui sui problemi della regione prevale il discorso di schieramento. In Sardegna il centrodestra litiga se candidare il presidente uscente Solinas (Lega) o il sindaco di Cagliari Truzzu (FdI): entrambi nelle valutazioni sul loro operato da parte dei sondaggi hanno risultati pessimi.

Nel centrosinistra la segreteria del PD nazionale ha imposto come candidato la Cinque Stelle Todde, ovvero una persona le cui performance nazionali al governo non sono state esaltanti e che non deve godere di grande appeal in regione se non hanno avuto il coraggio di sottoporla al vaglio delle primarie.

Sono questioni destinate a ripetersi più o meno in tutte le competizioni amministrative che non sono poche: 3700 comuni più cinque regioni. La distribuzione del potere fra i partiti in questo contesto è molto più importante del risultato che le forze politiche conseguiranno nelle urne europee, perché quello sarà più un risultato di immagine che di sostanza (come si è visto per il successo del PD di Renzi o della Lega di Salvini nelle precedenti tornate per il parlamento della UE).

La politica, tuttavia, rischia molto se continua a rimanere intrappolata nelle lotte di fazione e nelle diatribe pseudo-ideologiche. Abbiamo bisogno di mettere mano seriamente ai problemi del nostro sistema politico-sociale: tempi complicati come quelli che si annunciano nel contesto internazionale non si affrontano con un paese arreso alla politica-spettacolo.

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