L’impasse della riforma sul premierato

È emblematico lo stallo sostanziale che si sta verificando nella commissione affari costituzionali dove si affronta il progetto di legge costituzionale sull’introduzione del premierato. Stiamo assistendo ad una contrapposizione muro contro muro che però si cerca di tenere fuori da contrapposizioni troppo accese: probabilmente perché ci si è accorti che il tema non appassiona più di tanto l’opinione pubblica, forse anche perché si vuol rimandare il confronto a quando le ormai fatidiche elezioni europee avranno stabilito come si distribuisce il consenso fra i partiti.

L’argomento è complicato più di quanto si voglia ammettere, perché non si può ridurlo alla banalità di sventolare quanto sia bello che il popolo decida direttamente da chi vuol essere governato (tesi della maggioranza) o quella opposta di quanto sia catastrofico mettere tutto il potere nelle mani di un solo capo (tesi dell’opposizione).

In realtà c’è un groviglio di problemi da risolvere, rispetto al progetto iniziale sulla cui inaffidabilità alla fine si sono convinti anche la maggior parte dei sostenitori della prima ora (e non si vede perché non chiedere conto di questo pasticcio agli improvvisati ingegneri costituzionali che l’hanno steso). Alcuni nodi erano facili da sciogliere. Per esempio il non aver previsto un limite al numero consecutivo dei mandati, visto che c’è per i sindaci e i presidenti di regione: detto fatto il limite di due mandati è stato inserito, con la specifica, un po’ bizantina, che devono essere due mandati pieni, perché nel caso uno si riduca a circa la metà, allora saranno possibili tre rielezioni.

Uno scoglio assai più difficile da rimuovere è la questione del premio di maggioranza che la coalizione sostenitrice del premier eletto dovrebbe conseguire per garantire che questi possa governare senza il rischio continuo di essere sfiduciato. Naturalmente c’entra anche il quorum necessario perché un candidato venga eletto premier e in connessione perché la sua maggioranza ottenga l’incremento di seggi necessari.

In un normale approccio alla questione si dovrebbe prevedere che il quorum è dato dal raggiungimento del 50%+1 dei consensi. In mancanza di esso si dovrebbe andare al ballottaggio fra i due candidati più votati. Il meccanismo però non piace a molti politici. Innanzitutto perché i ballottaggi sono spesso rischiosi: chi ha più voti al primo turno, può essere battuto al secondo perché l’avversario riesce a coalizzare attorno a sé forze che in precedenza si erano illuse di poter eleggere il proprio candidato, oppure perché, come spesso succede, al secondo turno votano meno elettori che al primo e non si sa a vantaggio di chi andrà questo calo.

In sostanza però il problema più grosso del doppio turno è che l’esigenza per ogni candidato di allargare la platea dei sostenitori, lo porta a premiare più quelli che arrivano all’ultima ora anche a scapito di quelli che lo hanno sostenuto sin dall’inizio. In un sistema frammentato e con coalizioni molto rissose come sono quelle attuali si può ben capire che molti preferiscano un sistema che assegna la vittoria anche con una maggioranza relativa di voti (si discute se la soglia possa essere il 40 o il 45% dei voti – solo se non si raggiungessero questi risultati si andrebbe al ballottaggio).

Il particolare che complica ulteriormente le cose è che la normativa sulle elezioni per le due Camere da tenersi in concomitanza con quella per la scelta del premier viene demandata ad una legge ordinaria, su cui non si vuol decidere se non si approva prima la legge costituzionale sul premierato elettivo. Siamo di fronte alla classica metafora se viene prima l’uovo o la gallina: sembra illogico varare il premierato se non si sa quale sarà la legge elettorale connessa, ma se si vara quella legge, che è ordinaria e quindi non ha i tempi lunghi di una costituzionale, c’è il rischio che si inventi un premio di maggioranza che entrerà in vigore anche se non viene approvata quella su un primo ministro dotato di nuovi particolari poteri.

Per costituzionalisti e aspiranti tali è una splendida occasione per fare sfoggio di inventive giuridiche o supposte tali, ma per la gente si tratta di un garbuglio di cui non si riescono a cogliere le articolazioni. In queste condizioni far passare la riforma con un colpo di maggioranza per poi andare ad un referendum confermativo che si combatterà su slogan generici e sostanzialmente artificiosi (come fu per quello sulla riforma Renzi) non sembra lungimirante.

Con i tempi che ci attendono non ci sarà proprio bisogno di conflitti del genere, visto che con grande probabilità nei prossimi anni avremo, purtroppo, ben altre gatte da pelare.

vitaTrentina

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