Dov’è finito Salomone?

I lettura: 1 Re 3,5.7-12;

II lettura: Romani 8,28-30;

Vangelo: Matteo 13,44-52

È passato il tempo dei tesori nascosti sottoterra, da qualcuno preoccupato di mettere in salvo la pelle (e poi tornare a riprenderselo in tempi più tranquilli): probabilmente non ce ne sono più. Storie o leggende d’altri tempi. Il tesoro oggi lo si cerca altrove.

Il fenomeno turistico che, nonostante le crisi economiche, interessa le valli trentine, questa sì che è una perla preziosa, di grande valore.

Certuni, sia nei paesi che nelle città, per certi tesori hanno un fiuto speciale: quando si prospettano svolte politiche di rilievo, sanno sempre da che parte buttarsi per trarne vantaggio.

I politici poi – con quella litigiosità che li caratterizza nelle nostre istituzioni nazionali (soltanto?) – saranno davvero motivati da sollecitudine per il bene comune, o non piuttosto dall’ansia per il tesoro del potere? Ansia di conservarlo, per quelli che lo detengono; d’impadronirsene, per quelli che non ce l’hanno…

Dov’è finito Salomone? Lui che quando divenne re disse a Dio: Signore, non ti chiedo ricchezza o potere, nemmeno lunga vita e successo. Dammi un cuore docile – docile a te – e saggio, per governare questo popolo con giustizia… Dov’è finito costui? Quanti, tra quelli che al giorno d’oggi hanno responsabilità sugli altri, ragionano alla stessa maniera?

Ma non limitiamoci alla critica sugli altri; veniamo a noi. Come ragioniamo a questo riguardo? Qual è il tesoro della nostra vita? L’abbiamo trovato poi?

“Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo… chi lo trova va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo”. Tanti o pochi che siano i nostri averi, è certo che solo per ciò che sta a cuore si dà tutto: mezzi, tempo, interesse, impegno, diligenza, competenza. Perfino la vita, a volte. Quando un individuo è disposto a dare perfino la sua vita per qualcosa o per qualcuno, vuol dire che quel qualcosa, o quel qualcuno, vale moltissimo ai suoi occhi: più della vita, appunto.

Gesù Cristo indica nel Regno dei cieli questo tesoro. Detta così, la cosa può sembrare estranea alla nostra reale esperienza; cerchiamo allora di tradurla, di verificare la consistenza di questo tesoro. Ci potremmo chiedere, ad esempio: quanto mi sta a cuore il fatto che Dio sia mio padre, mi conosca e mi ami da sempre? Da questo fatto consegue che tutte le cose che mi capitano, concorrono al mio vero bene – ce lo ricorda san Paolo in questa Domenica (“tutto concorre al bene di coloro che amano Dio”: sì, anche le cose storte, perché Dio, mio padre, le sa volgere al bene). Quanto mi sta a cuore che questo Padre mi comprenda e mi avvolga di tenerezza, anche se gli volto le spalle? E che, grazie a lui, la mia vita abbia un orizzonte che non conosce confini, tanto che io posso guardare con speranza anche oltre la morte: quanto mi sta a cuore?

Quanto sono interessato al fatto che a questo mondo non siano le disparità, le disuguaglianze, i soprusi a trionfare, ma quello che il vangelo chiama “Regno dei cieli”, che è giustizia, solidarietà, dignità per tutti… E il sapere per certo che questo Regno è già in mezzo a noi, e procede verso questi traguardi: è un fatto che mi dà soddisfazione?

Ecco il tesoro di cui parla Gesù Cristo. L’espressione “regno dei cieli” sarà pure datata se si vuole, ma ciò che significa è tutt’altro che una vecchia teoria e nulla più. È l’unica realtà, piuttosto, di fronte alla quale tutto il resto è declassato… a ciò che realmente è: provvisorietà e, in buona parte, pura facciata. Allora, forse, si può capire cos’è saggezza e sapienza. E perché mai Salomone sia passato alla storia come il modello del vero sapiente. “Signore, non ti chiedo né fortuna né lunga vita né ricchezza: dammi un cuore docile, che si lascia insegnare da te quali sono i valori e gli interessi per i quali val la pena spendere tutto… Signore, insegnami tu a vivere…”.

A questo punto si può anche fare dell’ironia su certi tesori di moda, e guardare con umile criticità a quelli che li cercano con tanto ardore e passione. Su politici che si atteggiano a paladini del bene comune ma che in realtà rivendicano il diritto a vitalizi e pensioni d’oro: commiseriamoli, ridiamoci su, se il nostro tesoro è davvero di tutt’altro genere. Su quanti si affannano per possedere, per avere sempre di più senza essere mai sazi, commiseriamoli: sono semplicemente stolti, secondo il vangelo, cioè individui senza sale, senza sugo: povera gente alla fin fine. I loro tesori assomigliano alle lucciole d’estate: durano poco, qualche notte appena. E dopo aver commiserato, ma senza alcuna cattiveria, torniamo con lo sguardo al Regno dei cieli, che è già in mezzo a noi. E cerchiamo di non distogliere mai lo sguardo da quest’unico vero tesoro.

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