Dio e prossimo. Senza alternative.

I lettura: Esodo 22,20-26;

II lettura: Tessalonicesi 1,5c-10;

Vangelo: Matteo 22,34-40

È tipico della fede cristiana il comandamento di amare Dio con tutto il cuore e il prossimo come se stessi. Talmente tipico da costituire – di due – un unico comandamento. Ma perché non ci è data l’alternativa: o Dio, o il prossimo? Sarebbe così comodo a volte! Si racconta di due monaci che camminavano insieme sulle montagne del Thibet: uno era buddista, l’altro cristiano. Si stava facendo notte e cominciava perfino a nevicare. Andavano di buon passo per arrivare in fretta al monastero e trovare riparo. Improvvisamente sentirono un lamento che proveniva dal dirupo sottostante: un viandante era scivolato, si era ferito e invocava aiuto. Il monaco buddista disse: “Ah, è il suo karma (il suo destino) morire laggiù. Non possiamo farci niente”. E tirò dritto. Il monaco cristiano invece ragionò tra sé e concluse: “No, è mio prossimo quel poveretto e Dio mi comanda di amarlo come me stesso”. Scese il dirupo, lo trovò e se lo caricò sulle spalle. Con quel peso non poteva camminare troppo in fretta, ma quando finalmente giunse vicino al monastero (era già notte ormai) s’imbattè in un ostacolo: sul sentiero, riverso per terra, c’era il monaco buddista ormai senza vita, ucciso dal freddo. Lui invece era ancora vivo: perché mai? Lo sforzo e il peso di quel poveretto sulle spalle l’avevano riscaldato, evitandogli il rischio di morire congelato. La morale, o il messaggio, di questa storia non ha bisogno di tante parole: amare Dio e insieme anche il nostro prossimo è tutto a nostro vantaggio. Noi ci salviamo – cioè ci realizziamo veramente e in pienezza – solo in questo modo. Oh, non è né facile né comodo, sia chiaro. Ecco perché c’è chi – di questi due comandamenti – ne sceglie uno solo: o si illude di amare Dio disinteressandosi del prossimo, oppure presume di amare quest’ultimo ignorando Dio. Non parlo di quegli Ebrei che a Gerusalemme corrono al muro del pianto a pregare Dio notte e giorno, ma sono del tutto refrattari a riconoscere i diritti degli arabi. Né mi riferisco ai musulmani che in tutti i paesi del Medio Oriente hanno costruito grandiose e splendide moschee, ma faticano a prendersi cura degli emarginati o a riconoscere i diritti delle donne o dei bambini.

Parlo del cristiano che frequenta le chiese, ma poi non ha il minimo di comprensione per i suoi vicini, o che di fronte al fenomeno delle immigrazioni ragiona col dire “Se ne stiano a casa loro!” (dopo aver premesso ovviamente, a parole: “Io non sono razzista, sia chiaro!”), oppure ancora si comporta da autentico strozzino… Eh, no: noi cristiani non possiamo affatto permetterci tali comportamenti, quale che sia il nostro prossimo. Dovremmo cambiare religione, in tal caso, perché quel Dio in cui diciamo di credere parla chiaro, conosciamo la sua sensibilità per le persone, specie se sono disagiate o bisognose. Ce la richiama la prima lettura: “Non molesterai il forestiero, non lo opprimerai… perché anche voi avete provato cosa vuol dire essere forestieri”. Potremmo tradurre: “Voi italiani, voi trentini in particolare, non potete molestare o opprimere i forestieri, perché anche voi siete stati forestieri e dovreste sapere cosa vuol dire…”. “Non maltratterai chi è povero, debole, sfortunato… perché se tu lo maltratti e lui grida verso di me, io lo ascolto – dice il Signore – e mi metto contro di te”. Quando si tratta di poveri cristi, è sorprendente la sensibilità e la tenerezza di Dio: “Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo restituirai prima del tramonto del sole, perché di notte fa freddo e il mantello è la sua sola coperta…”. Chi ha una mentalità razzista, arrogante, integrista, non si trova bene con questo Dio: lo cambi, ne scelga un altro (ammesso che lo trovi).

Sull’altro versante c’è chi si illude di amare il prossimo ignorando completamente Dio. “A che serve pregare, andare a messa, ascoltare il vangelo, fare la comunione? È il prossimo invece che si deve aiutare. Fatti, non parole”. Di solito, chi parla così, lo fa con una certa arroganza, perché ha bisogno lui stesso di convincersene. Ma, scusate: chi di noi è esperto in fatto di amore? Chi ha in sé la carica per amare sempre, soprattutto quando costa? No, non è possibile amare veramente e nel modo giusto, amare in continuazione, amare quando è difficile amare, se non ce lo lasciamo insegnare da Colui che è l’amore in persona: il nostro Dio. Coloro che dopo essersi promessi “eterno amore” si separano alla minima difficoltà, o quei tali la cui disponibilità nel volontariato si esaurisce in fretta, se coltivassero una forte relazione d’amore con Dio arriverebbero a tali risultati? Non vogliamo giudicare nessuno, ma nemmeno avere il prosciutto sugli occhi: se non c’è amore di tutto cuore per il Signore, anche l’amore tra persone si indebolisce e lascia molto a desiderare. Ecco perché quei due comandamenti vanno insieme e fanno un tutt’uno. Il primo dà la carica, la chiarezza, la generosità per osservare il secondo. E questo, dal canto suo, offre il criterio di verifica per valutare l’autenticità del primo. Non separiamoli: sarebbe tutto a nostro danno, oltre che a disonore di Dio.

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