Grido è la preghiera cristiana

Esodo 17,8-13;

2Timoteo 3,14-4,2;

Luca 18,1-8

Di solito sono gli uomini a porre domande a Dio: “Perché non mi aiuti, Signore? Perché hai permesso che accadesse questo? Perché non cancelli con un colpo di spugna le ingiustizie e le miserie di questo mondo?”. Nel brano evangelico della prossima domenica è Gesù (Figlio di Dio) a porre una domanda agli uomini, quindi a noi: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”. E perché lo chiede a noi, proprio lui che è onnisciente e sa tutto? Forse perché alla fin fine dipende da noi che ci sia o meno la fede sulla terra. È una domanda che, più che aspettare una risposta, vuole risvegliare il nostro senso di responsabilità. Per la precisione, è la conclusione di un discorso, nel quale il Signore aveva parlato della “necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai”. Oh, ma si rende conto Gesù di cosa va dicendo? Si rende conto che molti bambini – battezzati, cristiani – vanno a scuola e non sanno ancora fare il segno della croce? Non intendo affatto colpevolizzare i bambini per questo; loro sono la punta dell’iceberg: dietro (o sotto) ci siamo noi adulti: se è la nostra preghiera a tener viva la fede, ce n’è ancora fede tra noi, nelle nostre famiglie? Certo, la gente quando ha bisogno prega ancora. Ed è giusto farlo. Tuttavia è un’esigenza che viene da sé: per pregare al momento del bisogno, non occorreva che venisse Gesù Cristo ad insegnarcelo. Ma allora, a che scopo racconta la parabola del giudice disonesto e della povera vedova (il vangelo di questa Domenica)? Cosa vuole insinuare? Sta andando a Gerusalemme Gesù: è il suo ultimo viaggio, quello che lo porterà alla croce e poi alla risurrezione. Come sempre, l’unico argomento di tutte le sue conversazioni è il Regno di Dio che è già iniziato e un giorno verrà in pienezza. Sì, ma quando? gli chiede la gente. E lui, anzichè rispondere, pone un’altra domanda: “Ma quando verrà, troverà ancora gente che lo aspetta, che lo desidera ardentemente?”. E per capire cosa vuol dire “desiderare ardentemente il Regno di Dio” basta vivere con gli occhi aperti e, oltre gli occhi, gli orecchi, ma soprattutto il cuore e la mente. Perché sì, io cristiano ho diritto come tutti di lamentarmi se sto male, di preoccuparmi se stanno male i miei cari; come tutti ho diritto di desiderare certe cose e di soddisfare i miei desideri più essenziali. Ma se mi lamento solo per me stesso, se soffro solo per quelli della mia famiglia, se prego unicamente per soddisfare i miei interessi immediati, allora come cristiano sono un fallimento… Allora il nome stesso di “cristiano” non è per me, non mi si addice; è troppo grande quel nome per me. Noi cristiani siamo uomini e donne con i pregi e i difetti di tutti, ma Dio ci ha dato un cuore e una coscienza tali da captare e far nostre anche le attese di altri: di quelli che attendono non un aumento di stipendio, ma semplicemente… uno stipendio per vivere; che aspettano e sperano di uscire da una situazione preoccupante perché hanno una famiglia da mandare avanti, oppure vorrebbero, non la luna, ma semplicemente un po’ di dignità perché non ne hanno affatto. Costoro non possono attendere, aspettare, desiderare da soli, perché a un certo punto può accadere che non ce la fanno più: ci vuole qualcuno che attende, aspetta e desidera, accanto a loro, a nome loro. Tutti poi sanno che non occorre andare molto lontano per trovare queste situazioni: basta guardarsi attorno, ma con il cuore, non con il prurito del pettegolezzo. La nostra coscienza cristiana deve fare da cassa di risonanza a tutto questo, in altre parole, tutto ciò deve trovar posto nella nostra sensibilità e diventare preghiera: ecco cosa vuol dire domandare “Venga il tuo Regno!”. Certe situazioni problematiche assomigliano ai bidoni per la raccolta differenziata delle immondizie: a rovistarci dentro si ottiene come unico effetto quello di diffonderne il cattivo odore…

No, è a Dio che bisogna parlare delle attese e delle miserie umane: con la preghiera. Ecco cosa intende il vangelo quando parla della necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai. Le voci del mondo, voci di speranza o di angoscia, di sofferenza o di rabbia, noi le dobbiamo captare e portare davanti a Dio con parole di preghiera vigorosa, non slavata e sciatta; Gesù infatti parla di “grido”: “Non farà forse giustizia Dio ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui?”. Come Mosè sul monte, che prega insistentemente per il suo popolo con le braccia alzate al punto da affaticarsi: così ci vuole il Signore; è anche per questo che siamo cristiani. A fare del bene, nel senso di dar da mangiare a chi ha fame e curare le miserie del prossimo, tutti coloro che hanno possibilità e umanità sono capaci, ma a noi cristiani spetta un compito in più: stare davanti a Dio anche a nome di altri, soprattutto di coloro che non hanno più nemmeno la forza o le parole per pregare, e gridargli con insistenza: “Venga il tuo Regno, Signore, perché noi da soli non ce la facciamo a rispondere a tutte le attese!”. A volte sento anziani, o malati da lunga data, che mi dicono: “Non son più capace di far niente… posso solo pregare…”. Al che io rispondo: “Ma ti pare poco? Se nella situazione di debolezza in cui ti trovi puoi ancora pregare, vuol dire che la preghiera alla fin fine è la prima cosa che conta… altrimenti l’età e il venir meno delle forze ti avrebbero portato via anche quella”. Sì, pregare è la prima cosa che conta. Allora il Figlio dell’uomo, quando verrà, probabilmente troverà ancora la fede sulla terra.

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina