Che fare, se non rimarrà pietra su pietra?

Malachia 3,19-20a;

2 Tessalonicesi 3,7-12;

Luca 21, 5-19

Pronostici su una prossima fine del mondo sono stati fatti allo scadere del secondo millennio, altri ne sono stati tentati in questi primi anni del nuovo, altri ancora ne seguiranno. Singoli individui, sette, gruppi esoterici che hanno preteso di annunciarne in anticipo la data esatta, ci sono sempre stati, salvo poi a disilludersi quando, alla data preannunciata, il mondo andava avanti come prima.

A volte sono gli eventi stessi che suscitano l’impressione di quella fine: catastrofi d’immane portata, ad esempio, di fronte alle quali è più che normale reagire dicendo: “Sembra la fine del mondo!”. Ma Gesù in questa Domenica ci mette in guardia: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro!».

Certo che ci sono anche eventi terrificanti nella storia dell’umanità, periodi di gravi tensioni, di pesanti crisi economiche, di preoccupazioni angosciose sia per la società che per le famiglie e i singoli. Ebbene: «Non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è la fine del mondo». Ah, certo: verrà prima o poi, è ovvio. Tutto ciò che ha avuto un inizio avrà anche un termine. È saggio non dimenticarlo mai.

«Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». E non allude solo alle belle pietre del Tempio di Gerusalemme (o alla grandiosa cupola che sovrasta la basilica di san Pietro a Roma): pietre destinate a rovinare sono anche le cosiddette grandi Potenze, le culture che – dopo la loro gloriosa parabola ascendente – declinano verso un altrettanto inglorioso tramonto, e così tutte le istituzioni umane (comprese – perché no? – quelle ecclesiali: ci sono conventi e istituti che hanno già chiuso i battenti). Poi, quando la sequenza di glorie e di tramonti sarà definitivamente conclusa, quello che arriverà sarà il giorno del Signore. Per noi cristiani quello sarà il giorno del suo definitivo ritorno: tra non molto, l’Avvento tornerà a renderci familiare questo pensiero, quest’attesa.

In questa domenica però il vangelo di Luca – e l’insistenza del Signore – è su un altro aspetto che attrae la nostra attenzione: il presente della nostra storia e il nostro modo di abitarlo. Anche la nostra epoca, infatti, anche l’andazzo di questa società in cui viviamo è storia, ed è qui che il Signore ci sollecita a fedeltà. Ci chiede di abitare questo tempo senza cedere alle paure e alle evasioni; in altre parole: di “starci dentro” con tutta la nostra dignità e responsabilità di cristiani. «Avrete così occasione di dare testimonianza» afferma Gesù Cristo. Non invita quindi a tirarsi fuori per aspettare chissà quale fine, ma a “rimanere dentro” come testimoni responsabili, saggi e soprattutto operosi.

La conseguenza non è di poco conto: «Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita» ci assicura. Cosa vorrà dire “salvare la propria vita”? Non è da credere che Gesù voglia distoglierci dal vivere operosamente qui e ora, o dal lottare per ciò per cui adesso è giusto lottare. Dio non vuole affatto trasformarci in evasori dalla realtà, dalla storia, a cominciare proprio da quella che è la nostra di tutti i giorni. No, vuole piuttosto allargare i nostri orizzonti. Se ci fa intravedere qualcosa del futuro nostro e di tutti, se apre uno squarcio su quello che ha preparato per noi oltre quest’avventura che è la nostra esistenza sulla terra, è per dare proprio a questa esistenza sulla terra un respiro più adeguato, un orizzonte più ampio: non è già questo un “salvare la propria vita”? E tutti sappiamo che un conto è vivere, prendere decisioni, operare e agire, con un orizzonte ampio davanti a sé, con uno sguardo che sa andare oltre il presente immediato… Altro conto è vivere, prendere decisioni e agire (o lottare), dentro un ambito chiuso, un guscio dove il respiro è necessariamente corto e la visuale limitata. Capita ogni tanto di entrare in casa di qualche persona emarginata, che non ha molta simpatia per la pulizia e per l’igiene; la prima cosa che si avverte è il cattivo odore… E perché mai quella persona non lo sente, non se n’accorge? Ci ha fatto l’abitudine. Chi vive interessandosi e preoccupandosi solo per se stesso, si trova esattamente in un guscio, dove tutto sa di chiuso, di muffa, e lui stesso non se n’accorge.

Sì, verrà il grande giorno di Dio (quello di cui parla Malachia, il profeta della prima lettura): allora entreremo (lo speriamo!) nel mondo nuovo che egli ha preparato per tutti i suoi figli. Ma intanto, nel frattempo, ha affidato questo mondo di adesso alla nostra responsabilità. Ebbene, è saggio non perdere di vista quello che verrà, non dimenticare che quello è il traguardo. E’ saggio per dare alla nostra vita di adesso il valore che ha (non di più nè di meno) e per affrontare le responsabilità che ci competono, ma anche le prove e le avversità, con l’energia e la carica adeguate.

Sì, ma attenzione: tutto questo è possibile solo affidandosi senza condizioni al Vangelo di Gesù. Solo se si vuole un gran bene a lui e si fa tesoro delle sue parole: Non abbiate paura, fidatevi di me. Io vi ho aperto davanti gli orizzonti di Dio: teneteli aperti. E siate operosi nella carità. «Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».

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