Ora aumentano le “bocche da sfamare”

Il sistema trentino ha fatto una certa fatica a reggere un aumento demografico molto più accentuato che altrove. Però…

L’impatto delle dinamiche demografiche sull’economia rimane spesso in ombra, perché si tende a considerarlo costante. Ma non è così e il Trentino ne è un chiaro esempio. La nostra provincia, comunica l’ISPAT (maggio 2017), è ancora una delle poche realtà italiane con la popolazione in crescita, assieme ad Alto Adige, Lazio, Lombardia ed Emilia-Romagna.

Il numero dei trentini sta oggi aumentando per il solo saldo migratorio (iscrizioni meno cancellazioni anagrafiche), visto che quello naturale (nascite meno decessi) dopo un lungo periodo positivo, è in lieve flessione. Ma cresce, e in modo piuttosto vistoso. In un quarto di secolo (1991-2017) i residenti sono passati da 450 a 539 mila (+ 19,8%): in questo intervallo temporale è l’aumento relativo più alto in Italia, cresciuta in media soltanto del 6,7%. Fra le popolazioni più dinamiche, dopo la nostra, quella altoatesina (+18,8%) e l’insieme del Nordest (+11,9%). Non è un caso: il «primato» trentino resta tale anche allungando all’indietro l’arco temporale di vent’anni: nel periodo 1971-2017 i trentini residenti sono aumentati del 22,7% contro una media italiana del 9,8%: più del doppio!

Ciò non deve meravigliare: il nostro è un territorio con una bassa densità demografica («c’è spazio», potremmo dire) con un alto reddito pro capite e buoni servizi («si sta bene», in senso relativo) e quindi attraente per immigrazioni, che non provengono soltanto da Paesi esteri (gli stranieri residenti in Trentino sono oggi 46 mila, l’8,6%) ma anche dalle regioni italiane.

Questo flusso migratorio impatta sui livelli occupazionali: arrivano persone che lavorano o pronte a farlo, quindi si agevola l’occupazione; ma nello stesso tempo aumentano le «bocche da sfamare» da parte del sistema locale: queste ultime sono 49 mila in più negli ultimi dodici anni (indagine Istat-ISPAT sulle forze di lavoro 2004-2016), oltre 4 mila persone in più all’anno.

Come si sono distribuite? Sedicimila hanno incrementato la pattuglia degli occupati, passati nello stesso periodo da 215 a 231 mila; diecimila hanno ingrossato le file dei disoccupati, passati da 7 a 17 mila; le restanti ventitremila sono confluite fra le persone inattive (soprattutto quelle in età non lavorativa).

Dunque, la cattiva notizia è che in quei dodici anni i disoccupati sono più che raddoppiati, facendo salire il tasso di disoccupazione dal 3,2 al 6,9 per cento: il sistema trentino ha quindi fatto una certa fatica a reggere un aumento demografico molto più accentuato che altrove.

Le buone notizie sono due. Anzitutto i dati 2017 sono migliori: i disoccupati diminuiscono di 3 mila unità e il tasso di disoccupazione scende al 5,7%, il valore più basso dell’ultimo quinquennio, uguale per le donne e gli uomini (in Italia è più o meno doppio: 11,2%). Gli occupati salgono a 237 mila, portando a 22 mila l’incremento di posti di lavoro dal 2004. Questa è l’altra buona notizia: il sistema trentino, negli ultimi tredici anni, comprensivi di una dura crisi, ha generato 22 mila posti di lavoro (sospeso ogni giudizio sulla relativa qualità, che approfondiremo in futuro).

Le bocche da sfamare aumentano, ma per fortuna il Trentino, pur faticando, è abbastanza attrezzato a farvi fronte. Almeno si spera, perché l’una e l’altra cosa sono il segno di una comunità viva.

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