Cercare i tanti perché

Siamo cristiani perché qualcuno ci ha trasmesso la fede. Non bisogna mai dimenticare questo aspetto: non siamo e non saremo mai cristiani da soli

In un mondo globalizzato, dove si intrecciano inesorabilmente lingue, culture, religioni, diversi modi di essere e di vivere, è sempre necessario rendere ragione delle proprie convinzioni più profonde. Non era diverso ai tempi dell’apostolo Paolo o di Pietro: anch’essi si muovevano dentro a un contesto unitario (non tutto il pianeta, ma il Mediterraneo unificato sotto l’autorità dell’impero romano) caratterizzato da una molteplicità davvero notevole di credenze. In epoca tardo antica culti esoterici spopolavano a Roma, riti egizi e cerimonie dionisiache erano diffuse tra i potenti e il popolo, filosofie scettiche e materialiste percorrevano le stesse rotte di un pensiero spiritualista e aperto alla trascendenza, un approccio che noi chiameremmo scientifico si sovrapponeva ad un grande afflato religioso. In questo scenario complesso e sincretistico, dove tutto si incrociava e si confondeva, cominciò a diffondersi il cristianesimo. Che doveva spiegare se stesso a chi magari non sapeva nulla della fede ebraica. I primi cristiani dovevano annunciare il Vangelo a persone di diversa estrazione culturale, etnica, sociale; a persone con valori morali anche lontanissimi da quelli della religione. Non si poteva poi parlare di religione al singolare: c’era invece un’esplosione di divinità, circostanza inevitabile dentro l’universo politeistico.

Oggi dobbiamo affrontare sfide simili: non si è più cristiani per nascita o per una presunta identità occidentale; le grandi religioni tradizionali subiscono la “concorrenza” di sette, gruppi alternativi che realizzano appetibili miscele di sensibilità orientali, di suggestioni sciamaniche sempre al confine tra una genuina ricerca e gli inganni della superstizione. Da noi la mentalità diffusa non si ricorda neppure di Dio. Le antiche divinità sono sostituite da quella che per molti è la luce della scienza, salvo poi cadere in giudizi affrettati su tutto quello che sa di religione. Non parliamo poi dei costumi e degli stili di vita: in questo campo sembra che ciascuno sia autorizzato a fare ciò che vuole, nell’indifferenza o nell’applauso collettivi; in positivo questo è un segno di tolleranza democratica, in negativo di una frammentazione individualista.

In questo spazio pubblico e privato dobbiamo riscoprire i perché del nostro essere cristiani. All’inizio del nostro percorso di fede qualcuno ci ha parlato di Cristo e della Chiesa. Pochissimi, forse nessuno, ha avuto intuizioni solitarie. Siamo cristiani perché qualcuno ci ha trasmesso la fede. Non bisogna mai dimenticare questo aspetto: non siamo e non saremo mai cristiani da soli. La fede è sempre ecclesiale, è sempre missionaria. È quello che evidenzia con forza papa Francesco nella sua esortazione apostolica Evangelii gaudium. Ognuno di noi ha udito da qualcuno il messaggio del Vangelo. Poi potremmo averlo anche dimenticato, potremmo aver rinunciato a questo cammino, ma resta sempre il nucleo fondamentale della centralità della trasmissione della fede. Una volta era sufficiente questo, si era cristiani per tradizione, perché si nasceva in un contesto, in una famiglia, in una società per lo più cristiani.

Ora, dopo aver ascoltato il primo annuncio, giunge il momento di una scelta individuale. Di solito avviene durante l’adolescenza o la giovinezza; per questo molti a quell’età si allontanano dalla fede. È indispensabile uno scavo interiore, che si traduce in una ricerca continua fondata su un’esperienza vissuta: è bello, buono, appagante, consolante mettersi sulla strada di Gesù. Ma di fronte a tante “offerte” religiose, perché “scegliere” il cristianesimo? Per la fede sappiamo che è Dio a offrirci questa possibilità, per il mondo essa è una scelta individuale di cui rendere ragione.

Il messaggio cristiano ha qualcosa in più degli altri? È l’unica religione vera? Non la metterei in questi termini che finiscono per dividere le persone e le religioni. Certamente invece Cristo porta nel mondo una grande novità: che Dio è vicino, vicinissimo agli uomini. Che l’amore, la giustizia, la misericordia sono possibili. Che la sofferenza può trovare senso se la si vive con e per gli altri. Che neppure la morte ha l’ultima parola. Il messaggio cristiano non è una favola per bambini, un credo miracolistico e irrazionale senza fondamento nella realtà. Esso invece trova la sua base anche in un’interpretazione molto realistica della nostra vita quotidiana e della storia umana in generale, impastate di dolore e di speranza, di tragedia e di compassione. Tutto questo Cristo, cioè Dio, ha preso su di sé dandone una luce nuova e intramontabile.

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