Un Ulisse alla ricerca di Omero

La fiction Il ritorno di Ulisse (Raiuno, domenica 21.30) segna dopo il successo internazionale del 1968 il rinnovato interesse della Rai per l’Odissea in una coproduzione italiana, francese e portoghese, diretta da Stéphane Giusti, protagonisti Alessio Boni, Caterina Murino e Niels Schneider. La trama viene da molto lontano, dai poemi omerici composti tra la seconda metà dell’VIII secolo a. C. e l’inizio del VII con il passaggio alla scrittura di una secolare tradizione orale.

Con il pretesto di attirare un pubblico giovane si è inteso presentare un prodotto più moderno, movimentato e violento, rimaneggiando i caratteri di una civiltà arcaica senza riuscire a comporne una nuova, immaginaria o storicamente credibile. L’ambientazione dentro e fuori del palazzo di Ulisse è vaga; le isole, su cui si esercita la sua sovranità, Itaca, Dulichio-Cefalonia, Samo, Zacinto, e da cui provengono i 108 pretendenti, se le deve immaginare lo spettatore, mentre inquadrature simili a cartoline tra luci ed ombre segnalano il trascorrere del tempo. Manca il senso religioso di una giustizia che discende da divinità, vigili e partecipi delle azioni umane. Sotto il profilo politico, nel film-tv Penelope presenzia alle assemblee, riservate in realtà agli uomini, notabili e cittadini, e si attenta alla sua onorabilità per esautorarla di un’autorità che non possiede.

Nel palazzo omerico Penelope è una presenza morale e la fedeltà coniugale è l’arma con cui preserva al marito e al figlio il trono. In questa Odissea reinventata con temi mutuati dalla tradizione epica e narrativa in genere, dominano fin dall’inizio la sopraffazione, gli intrighi di palazzo, la congiura di tutti contro tutti. Si ricorre a trovate come il folclorico sbarco di Menelao a Itaca, ai riempitivi spettacolari degli allenamenti e dei duelli e all’uso di meccanismi e colpi di scena per differire la pace nella comunità.

In tema di modernità, si poteva curare di più l’analisi introspettiva dei personaggi; approssimativa è anche quella di un Ulisse reduce, disorientato e sospettoso, mentre Telemaco, eletto da studi recenti a emblema del rapporto fra padri e figli, non naviga sulle tracce del padre.

Sarebbe però un giudizio critico improprio attribuire i limiti della fiction di Raiuno alla scarsa aderenza al testo omerico, che potrebbe essere un pregio in un disegno narrativo coerente e originale. Significherebbe anche disconoscere il fascino dei modi diversi in cui le arti, il teatro, la letteratura hanno rivissuto dall’antichità ad oggi la leggenda dell’eroe più noto dell’antichità e ritrovato nel poema e nel protagonista nel bene e nel male gli archetipi dell’umanità. Ma a celebrarlo valgono la tenacia degli affetti, il legame con la terra degli avi, per i quali rinuncia agli agi e all’immortalità, affrontando ogni genere di peripezie e al tempo stesso l’essere figura simbolo della sete di conoscenza dell’umanità ed esploratore del mistero.

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