Faccenda ingarbugliata

Una vittoria “ai punti” di Renzi non basterebbe a rimettere in sesto la situazione

A definire la faccenda delle votazioni sull’Italicum “ingarbugliata” è una voce autorevole, quella dell’ex presidente della repubblica Giorgio Napolitano, il quale peraltro non ha che dato forma ad un sentimento che gira largamente nell’opinione pubblica.

Come si sa il governo ha deciso di mettere la fiducia sugli emendamenti al testo in votazione, evidentemente deciso ad affrontare la battaglia contro di lui a viso aperto e all’ultimo sangue. Del resto quello che ormai quasi tutti hanno scritto, cioè che la partita aveva in palio la testa di Renzi, è confermato dalla violenza dei suoi oppositori, soprattutto interni al PD (che i partiti in minoranza nel parlamento vogliano far cadere il governo è relativamente normale. Si potrebbe rimproverar loro la coerenza con posizioni precedenti, ma la coerenza è una virtù rara in politica).

Come domani in caso di sconfitta le persone che hanno dato a Renzi del dittatore e del violentatore del Parlamento possano rimanere nel partito che lo ha come segretario è piuttosto oscuro, ma c’è da scommettere che non molti faranno il passo di uscire da quella formazione.

Ripetere le ragioni di banale buonsenso che militano a favore di una disciplina di voto che riconosca il diritto della maggioranza di procedere sulla sua strada è inutile, perché ormai i pregiudizi sono così radicati che vediamo citare a vanvera illustri autori e presentare fantasiose teorie politiche che solo un anno fa nessuno avrebbe avuto il coraggio di avanzare.

La sola questione che ora importa considerare è se effettivamente una sconfitta del governo Renzi comporti un ricorso allo scioglimento della legislatura. Dietro le quinte si sussurra che Mattarella potrebbe fare come Scalfaro che per non darla vinta a Berlusconi tirò fuori dal cappello il coniglio del governo Dini. A prescindere dal giudizio, per noi non esaltante, che si può dare di quell’esperimento, bisogna ricordare che ciò fu possibile perché in fondo lo stesso Berlusconi accettò, sia pure molto malvolentieri, quella via d’uscita, ma soprattutto perché esisteva una maggioranza alternativa seppure non proprio coesa.

Oggi sembra difficile mettere insieme un governo di “tecnici” come era quello con un minimo di autorevolezza e poi non si vede bene con quale maggioranza potrebbe reggersi. Di fatto sarebbe necessaria una alleanza fra forze di centrodestra e forze di sinistra, una soluzione un po’ ardua dopo tutti gli strepiti di questi ultimi tempi.

Immaginarsi che la maggioranza renziana possa accettare supinamente il suo siluramento sembra piuttosto difficile, né la situazione nei partiti è così buona da favorire intese trasversali durature. Dunque non vediamo come Mattarella potrebbe avvallare un governo che di fatto potrebbe essere solo un “governo del presidente” imposto in qualche modo alle Camere (il che per lui non sarebbe un grande esordio). Non è difficile capire che in una situazione di quel genere il paese sarebbe condannato alla paralisi, perché salterebbero tutte le riforme avviate, le tensioni corporative riprenderebbero slancio e ci troveremmo in difficoltà a livello internazionale.

Tuttavia bisogna riconoscere che anche una vittoria “ai punti” di Renzi non basterebbe a rimettere in sesto la situazione. La nuova legge elettorale non è utilizzabile fino al 2016. L’argomento sbandierato dalle opposizioni, secondo cui si tratta di un blocco facilmente aggirabile è ambiguo, perché se è vero che è tecnicamente aggirabile, è altrettanto vero che politicamente manderebbe Renzi al confronto elettorale coll’etichetta del fedifrago e, questa volta sì, del prevaricatore. Dunque, se l’opposizione non sarà così stupida da fornirgli la scusa per aggirare quel vincolo col consenso dell’opinione pubblica, il governo andrà avanti, ma in un clima di guerriglia parlamentare.

La situazione del PD infatti non può rimanere in questo limbo. Certo i contendenti giocano a passarsi il cerino acceso per vedere chi si scotterà il dito: la minoranza provoca per essere cacciata, ma Renzi non ha intenzione di cadere in quella trappola e lavora perché sia essa a rompere. Il risultato è che questo giochetto perverso bloccherà il partito di maggioranza relativa e darà modo alle opposizioni, specie a quelle populiste di lavorarlo ai fianchi.

Non è quello di cui abbiamo bisogno, ma ormai i politici pensano più alle tauromachie dei talk show che agli interessi del paese.

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