Il Pastore con la feluca

E’ stato un vescovo alla mano. Popolare fra il popolo, disponibile a ogni richiesta di incontro, non ha mai fatto la voce grossa. Ha governato l’esistente, senza strappi

Poche ordinazioni; tanti funerali.

Quando, nella primavera del 1999, fu designato arcivescovo di Trento, la diocesi aveva 597 preti. Nei sedici anni di governo episcopale, mons. Luigi Bressan ha accompagnato al cimitero quasi trecento preti e ne ha consacrati 31 di nuovi. Gli anni peggiori: il 2006 e il 2010 con trenta funerali ciascuno e nessun prete novello a fare da rincalzo.

Oggi i sacerdoti della diocesi di San Vigilio sono 361 con un’età media che supera abbondantemente i 70 anni. Mentre le cronache si occupano di preti anziani che tengono in piedi più di una parrocchia, l’arcivescovo Luigi Bressan deve lasciare perché a 75 anni (ne ha già compiuti 76, il 9 febbraio) il codice di Diritto canonico impone le dimissioni.

Sulla carta di identità di vescovi e prelati la Chiesa cattolica non fa sconti.

Mons. Bressan fu ordinato prete nel 1964 assieme a altri 21 seminaristi e non fu nemmeno la pattuglia più robusta in quegli anni Sessanta caratterizzati dal Vaticano II. Furono 21 i preti ordinati anche nel 1965; 23 nel 1966. Il Dopoconcilio accompagnò una lunga, altalenante, discesa verso il basso.

Calavano gli operai della mèsse, crollavano gli indici di partecipazione alle mésse.

Quasi tutti battezzati alla nascita; ancora molti accompagnati nella morte, ma la pratica si è ridotta negli anni a una ristretta minoranza.

Quando l’arcivescovo (da oggi, e per qualche mese, Amministratore Apostolico e poi emerito) arrivò in diocesi, la frequenza ai sacramenti era calcolata attorno al 25% della popolazione. Oggi le feste comandate e i riti della religione cattolica richiamano una striminzita partecipazione. Peraltro, negli ultimi due anni si è assistito a un crescendo di interesse ai temi del sacro da parte dei giovani. Chissà?

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Mons. Bressan fu destinato alla cattedra di San Vigilio che era già arcivescovo da dieci anni. Anni intensi, passati fra i broccati delle Nunziature apostoliche e le feluche degli ambasciatori. Era approdato ai vertici di una carriera diplomatica in fondo alla quale, secondo i sussurri e il costume dei Sacri palazzi, si intravedeva il rosso porpora della berretta cardinalizia. Sarebbe stato, a quel punto, il quarto cardinale della Valle dei Laghi (dopo i tre Madruzzo) e la prospettiva del riscatto, anche cardinalizio, di una terra di fittavoli della mensa del vescovo avrebbe stuzzicato l’appetito di più d’uno.

La nomina a Pastore di Trento gli fu comunicata a mezzanotte, con un cablo cifrato, mentre stava per andare a dormire nel suo letto della Nunziatura Apostolica (l’ambasciata del Vaticano) a Bangkok, in Thailandia.

Poteva dire di no al Papa? Avrebbe potuto, in teoria.

Ma, dopo la non entusiasmante stagione del vicentino mons. Sartori, il Trentino reclamava un vescovo… trentino. E, visto che il titolare di piazza Fiera è anche il metropolita, che conoscesse pure il tedesco.

L’annuncio della nomina di Bressan fu dato il giorno dell’Annunciazione, anche se in verità Paolo Ghezzi, de “l’Adige”, aveva “sparato” la notizia in prima pagina fin dalle prime ore del mattino. Complice un cardinale chiacchierone e un senatore ciarliero, il collega aveva bruciato tutti. Chapeau!

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Il vescovo Bressan ha governato la diocesi con senso pratico condito di diplomazia.

Figlio di contadini delle Sarche, “masadori” della mensa vescovile, è stato un vescovo alla mano. Popolare fra il popolo, disponibile a ogni richiesta di incontro, non ha mai fatto la voce grossa. Ha governato l’esistente, senza strappi, cercando il dialogo con i “lontani” mentre la secolarizzazione era intenta ad aprire voragini.

A differenza di qualche predecessore non è stato preso dal “mal della malta”, anche se alcune opere resteranno a ricordare il suo “passaggio” in piazza Fiera: dalla ristrutturazione del Seminario vescovile, con annessa “casa-infermeria del Clero”; alla pulizia-restauro degli esterni della Cattedrale; dall’avvio dei lavori di ripulitura e consolidamento degli interni del Duomo per finire con l’inaugurazione, recente, del “Vigilianum”. La nuova “casa della cultura” raggruppa archivio storico della diocesi di Trento, biblioteche del Seminario e del centro missionario diocesano oltre alla sede di quello che, sul finire degli anni Sessanta, fu il profetico centro culturale “Bernardo Clesio”.

Sono tutte strutture che l’arcivescovo Bressan ha affidato in mano ai laici, a donne soprattutto, compreso il museo diocesano; così come sono dirette da laici “Vita Trentina” e la radio Trentino inBlu, l’ufficio stampa della diocesi e altri importanti uffici diocesani.

Non è stata solo la crisi delle vocazioni e la mancanza di preti a favorire tale svolta che, soprattutto nel sud del mondo, è usuale da sempre.

Cinque lingue parlate, bauli di fotografie di incontri e di ricordi, mons. Bressan ha mantenuti rapporti cordiali soprattutto con il Sud-est dell’Asia dove è stato nunzio Apostolico. Sono fili che, venuti meno gli impegni di governo episcopale, riprenderà ad annodare con maggiore intensità.

Al successore affida una diocesi con nodi e problemi: clero vecchio, molti campanili, poche campane in esercizio, conventi che chiudono; matrimoni civili che sopravanzano i riti religiosi, famiglie che si sgretolano, disoccupazione elevata soprattutto fra i giovani, suicidi in aumento con indici tra i più alti d’Italia (0,82/10.000); mortalità crescente, nascite in ribasso.

È la vita di una comunità che, nel bene e nel male, riflette il mondo che le sta attorno ma che alla Chiesa pone ancora domande di senso.

Al vescovo che verrà la Comunità cristiana trentina non chiede di essere un manager. Le basta che faccia il pastore nella Fede.

Del resto, in Val di Fassa e non soltanto, le pecore le chiamano “fede”. Proprio così.

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