Il Cristianesimo ci spinge ancora

Caro Pier,

cercando di allungare lo sguardo oltre la cronaca, mi viene da fare questo pensiero. Da un certo punto della storia europea (dall’Umanesimo?), la Chiesa cattolica e in generale il cristianesimo hanno come esaurito la loro spinta propulsiva, mettendosi quasi sempre in posizione difensiva. Quasi tutte quelle che oggi riteniamo conquiste della civiltà (democrazia, tolleranza, uguaglianza dei diritti) sono state osteggiate dalla Chiesa. Non parliamo del progresso scientifico. La Chiesa allora attaccava, denunciava, scomunicava, salvo poi, sulla spinta dei cambiamenti culturali, accettare e apprezzare quello che fino a ieri condannava. Questo schema si è ripetuto più e più volte. Come mai? Perché la cultura cristiana sta diventando così residuale?

Michele

In questo tempo è molto difficile affrancarsi dal frenetico inseguimento del “minuto per minuto” per tentare di avere uno sguardo lungo, appunto “oltre la cronaca”. Ancora più difficile fare un riassunto di due millenni di storia del cristianesimo. Eppure mi sembra un esercizio utile per capire il presente.

La questione che poni è di estrema importanza. Per molti secoli il cristianesimo ha permeato la cultura e la società europee e poi mondiali, diffondendosi con un’energia davvero impressionante. Certamente, accanto a un’opera evangelica e missionaria basata su una fede genuina, questa diffusione è avvenuta attraverso una scelta politica (quando ad esempio il cristianesimo è diventato la religione ufficiale dell’Impero romano), oppure seguendo eserciti conquistatori e colonialisti. Tuttavia è indiscutibile la rilevanza della fede nella storia.

Alla fine del Medio Evo però, e poi in maniera sempre più accentuata, il mutamento della civiltà si è alimentato ad altre fonti. Il “progetto della modernità” (come lo chiama il filosofo tedesco Jurgen Habermas), cioè la progressiva autonomia dell’individuo, si è sviluppato quasi sempre contro le istanze della Chiesa, giudicata come un potere oppressivo e retrogrado. È un fatto che, dal ‘600 in poi, la cultura cristiana (e in particolare cattolica) rimane sulla difensiva, osteggiando qualsiasi tipo di innovazione, tecnologica, politica, artistica. Si è creato così un dissidio che perdura fino ad oggi, quasi che il cristianesimo fosse rimasto indietro oppure volesse rallentare il progresso.

La provvidenziale fine dello Stato Pontificio e il Concilio Vaticano II sono state due scosse salutari. La Chiesa, pur non negando la sua dottrina di sempre, ha voluto aprirsi al mondo, evitando posizioni arcigne e valutando positivamente alcune conquiste della modernità (la democrazia, la tolleranza religiosa, la libertà di coscienza, la netta distinzione tra religione e politica). Questa apertura non ha però fermato l’allontanamento delle masse dalla fede. La secolarizzazione ha accelerato e la distanza tra la mentalità diffusa e la proposta ecclesiale si è accentuata.

Ciò può essere visto anche come un evento positivo in quanto la Chiesa, ormai divenuta minoranza, ha approfondito la propria fede, riavvicinandosi agli ideali evangelici. E questo fa allontanare molti. Quando i Papi guidavano gli eserciti (addirittura direttamente come Giulio II) scomunicavano gli imperatori, sugellavano le sfere di influenza degli Stati, erano considerati re, forse avevano più peso politico di un Francesco che parla di misericordia e della “globalizzazione dell’indifferenza”. Ma erano sicuramente più lontani dal Vangelo.

Ora essere cristiani avviene per convinzione e non più per tradizione. Eppure, come detto dal cardinal Martini, su certi temi la Chiesa è indietro “di duecento anni”. C’è chi vorrebbe tornare indietro a prima del Concilio, chi invece vorrebbe inseguire l’individualismo contemporaneo. Io credo che occorrerebbe liberarsi dalla tendenza di essere i controllori dei buoni costumi, di essere un’agenzia etica che dà le pagelle di comportamento. Parlare di fede, non di etica. Perché solo attraverso il primato della dimensione religiosa che si può proporre (non imporre) la propria visione etica.

È quello che sta facendo papa Francesco ed è quello che farà il nostro arcivescovo Lauro. Soltanto una rinnovata fede intesa come relazione con Cristo può dare una spinta propulsiva. Non si tratta di riconquistare il ruolo perduto nel mondo che conta, ma di riavvicinarsi al modello delle prime comunità cristiane. Pietro e Paolo non intervenivano sull’ultimo editto imperiale o sui cattivi costumi dei ricchi di Roma, non avevano interesse a dare giudizi sulle mode del tempo, ma esortavano i fedeli a seguire l’esempio di Cristo che da ricco che era si è fatto povero e servo. Basterebbe questo.

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