“Mi ami tu? Ebbene, seguimi…”

Atti 5,27b-32.40b-41;

Apocalisse 5,11-14;

Giovanni 21,1-19

http://youtu.be/_JkpYx39Aww

Una volta i maestri – a chi stentava a capire – dicevano: “Sei uno zuccone!”. Oggi non lo dicono più perché altrimenti i bambini chiamano il telefono azzurro… Ma gli zucconi sono rimasti, sia dentro le scuole che fuori. Anzi, un po’ zucconi lo erano pure gli apostoli di Gesù: semplici pescatori, non avevano frequentato le superiori e tanto meno l’università (come se bastasse questo per guarire dalla zucconaggine!). La prima volta li aveva sorpresi mentre stavano facendo il loro lavoro di pescatori: erano intenti a riassettare le reti. A ciascuno di loro aveva detto: “Seguimi!”. E l’avevano seguito. Sì, avevano trovato un po’ strano che Gesù fosse venuto a cercarli nel bel mezzo del loro lavoro; pensavano: “Da quando in qua Dio ha qualcosa da dire proprio a noi? E poi… perché non lo fa quando andiamo alla sinagoga, oppure al tempio? Perché venirci a interpellare nel momento in cui siamo tutti sudati, magari nervosi per aver faticato tutta la notte senza prender niente?”. Non andavano a pesca per hobby o per passatempo, era il mestiere che permetteva loro di campare. Fatto sta che seguirono Gesù. Per tre anni almeno. Lui aveva raccontato loro che Dio, il Padre, vuol costruire il suo Regno in questo mondo, ma non tra le mura di un tempio o di una chiesa; no, è nella vita della gente che pone il cantiere: vita di lavoro, vita di famiglia, vita di amicizie e di relazioni, vita a volte bella e serena, altre volte provata e faticosa. Per tre anni li aveva istruiti su queste cose il Maestro. Poi era arrivata l’occasione di provare se erano vere, oppure se erano soltanto chiacchiere. E Gesù ne aveva dato la prova accettando di pagarle con la vita, sulla croce. Quei pescatori, lì per lì pensarono che fosse tutto finito, quand’ecco che lui – vivo più di prima – si presentò in mezzo a loro. E furono stupefatti e contenti nel rivedere il Signore. Ma poi pensarono: “Beh, adesso l’avventura è finita. Sono stati tre anni pieni di avvenimenti sorprendenti, ma adesso sono finiti. E quindi ora ce ne torniamo a casa, alla nostra solita vita. E che si fa? “Io vado a pescare” disse Pietro. “Veniamo anche noi con te” dissero gli altri. Ma quella notte non presero niente. Zucconi! Ma non l’avete ancora capito che ormai la vostra vita è legata a Gesù, e che senza di lui non riuscirete mai più a riempire le reti? Ma quante vi è stato ripetuto che Dio – il suo Regno – è a partire della vostra vita che lo vuole costruire? E che se nella vostra vita non fate posto a Gesù, è tutta un fallimento? “Figlioli”, così li chiama il Signore, che all’alba si fa rivedere mentre sta camminando sulla spiaggia: infatti, saranno pure zucconi, ma lui vuol loro bene così come sono. “Figlioli, avete qualcosa da mangiare?”. “No – rispondono – abbiamo faticato tutta la notte ma non abbiamo preso niente!”. Per forza! Quanto ci metteranno ancora a capire che senza Gesù la loro vita è un fiasco, un fallimento?! “Gettate le reti dalla parte destra e troverete…” ordina loro il Signore. Le gettarono, e non potevano più tirarle su tanto erano piene. Giovanni si prese il disturbo di verificarne il contenuto: centocinquantatré grossi pesci. Avranno capito finalmente che senza Gesù la loro vita sarebbe diventata povera e sterile come lo era stata prima? Sì, pare che con l’andar del tempo e – grazie alla pazienza di Gesù – l’abbiano capito.

Ma noi, discepoli d’oggi, l’abbiamo capito? Io ho dato degli zucconi agli apostoli, non l’ho detto ai lettori di questo settimanale (perché altrimenti avrebbero potuto risentirsene e disdire l’abbonamento), ma con un po’ di realismo forse lo possiamo riconoscere tutti: eh, facciamo fatica ad accettare che Gesù Cristo possa interferire con la nostra vita reale, cioè quella dal lunedì al sabato (più che dal sabato al lunedì): vita di lavoro, vita di famiglia, vita fatta anche di svago e di tempo libero per fortuna, ma nella quale a volte non mancano problemi e grane di vario genere. Facciamo fatica a lasciare che il terreno della nostra vita concreta diventi spazio del Regno di Dio in questo mondo. Forse abbiamo paura di essere defraudati, impoveriti, o che Dio ci porti via qualcosa, mentre invece sarebbe tutto di guadagnato per noi lasciarlo entrare e riservargli il primo posto in assoluto. Tutto di guadagnato anche in termini di risultati, oltre che di serenità, di coraggio nell’affrontare la vita, di equilibrio di fronte ai conflitti, alle difficoltà che la vita ci riserva.

Alla fin fine – riconosciamolo onestamente – è una questione di amore prima che di religiosità: di amore per questo Gesù che è risorto e al quale in quanto cristiani apparteniamo. Questione di amore che ci interroga: quanto amiamo Gesù Cristo? Ma lasciamo da parte il plurale, che è generico; Gesù si rivolge a Simon Pietro, perché Pietro rappresenta uno per uno tutti quanti noi. Ciò vuol dire che è a me personalmente, a te, a ciascuno, che ora chiede: “Mi ami tu?”. Mi ami davvero? Forse nella risposta ci ritroviamo un po’ titubanti, come Pietro, che andava cauto a rispondere “ti amo”, perché non erano passati molti giorni da quella notte in cui l’aveva rinnegato.

Ma Gesù vede nell’intimo di ciascuno e, soprattutto, ci ama per primo: molto più di come noi possiamo contraccambiarlo. E a ciascuno, come a Pietro, ripete quell’invito che già anni prima era risuonato: “Seguimi!”. A prescindere da qualsiasi infedeltà o volta spalle, tu seguimi. E le tue reti vedrai che si riempiranno. Sempre.

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