Resti limpido il cielo

Atti 1,1-11;

Ebrei 9,24-28; 10,19-23;

Luca 24,46-53

Claustrofobia si chiama la paura che provano certuni ad entrare o a sostare in ambienti chiusi, ristretti, o sotterranei. Io personalmente non la provo, però devo confessare che in certi momenti mi sento un po’ alle strette in questo mondo di oggi: come in una stanza dove, a forza di tener chiuse porte e finestre, l’aria odora di stantio. Sarà che il mondo è diventato piccolo, per cui ciò che accade all’altro capo, in un batter d’occhio si viene a sapere proprio come se fossimo tutti in una stanza. Sarà che i grandi di questo mondo – quelli che una volta parevano tanto diversi da noi – alla fin fine si rivelano anch’essi piccini come tutti, intrisi di ignoranza e debolezze esattamente come me. Insomma, lo ammetto: sono stufo di sentire una mattina sì e una no un giornale radio che parla di crisi economica, di speculazioni che la provocano, di scandali, di affari sottobanco per favorire questo, quello o quell’altro… Sono stufo di certi notiziari, è come risentire sempre la stessa musica (piuttosto funebre, oltretutto). Ecco perché a volte ho l’impressione che l’aria, a questo mondo, puzzi di stantio, di muffa. Che se poi scendiamo nel concreto della vita delle persone, delle famiglie, forse non è molto diverso: non vi pare che troppi problemi, troppe incomprensioni, troppi grattacapi, finiscano col risucchiarci tutte le energie che ci ritroviamo? Non trovate che a volte ci riduciamo a dare eccessiva importanza a cose che non ne hanno, e che un po’ di odore di stantio, come se vivessimo in una stanza sempre chiusa, ci sia anche nella nostra vita?

Ma ecco, ci apprestiamo a celebrare la solennità dell’Ascensione. Luca ci riferisce che Gesù porta i suoi su di un monte, quello degli Ulivi, vicino a Gerusalemme, e che da lì ascende al cielo. Beh, il monte offre un vantaggio: da lì si è più vicini al cielo, con tutto ciò che questa parola significa in ogni immaginario religioso. Non solo rimanda a Dio, alle realtà invisibili, ai cosiddetti valori dello spirito, ma – proprio con l’Ascensione di Gesù a quel cielo – ci viene annunciato che quello è anche il nostro traguardo, la nostra definitiva dimora: l’uomo Gesù che entra nel cielo di Dio è solo la primizia, ma alla primizia fa seguito la messe, e la messe siamo noi tutti. Erano contenti i discepoli quel giorno, perché Gesù non s’era affatto allontanato, non li aveva abbandonati: era arrivato al traguardo, alla meta. E l’aveva raggiunta non da provetto scalatore che arriva da solo in cima a una vetta, ma come uno che apriva la strada a tutti: tutti ora possiamo accostarci con piena fiducia a Dio – ci vien detto nella seconda lettura di questa Festa – perché uno di noi, Gesù, è giunto accanto a Lui. E, dal momento che non vi è luogo né situazione nella quale Dio non possa essere presente, ecco che Gesù – giunto accanto a lui – è con noi fino alla fine del mondo. Sì, sembra un paradosso: lì per lì si direbbe una partenza la sua, come se ci avesse lasciato soli ad affrontare i problemi e le difficoltà che la vita ci riserva, ma non è affatto così: è davvero con noi sempre, anzi, con ciascuno in modo tipico e particolare. Grazie all’ascensione al cielo, Gesù ormai non ci abbandonerà più.

È ovvio poi che quel cielo di Dio ove è asceso non è l’azzurro sopra le nostre teste, né lo spazio solcato dagli aerei o dai missili: sarebbe banale pensarla così. Il cielo azzurro simboleggia e richiama Dio, il suo Mistero, il suo “mondo” per così dire, ma è un “mondo” che dal giorno in cui Dio è venuto e ha camminato tra noi, interferisce con il nostro: interseca la nostra vita, la nostra storia. Vi sono numerose persone, proprio in questa società di oggi, che per viaggiare prendono abitualmente l’aereo, altre – meno numerose – scorrazzano per lo spazio come astronauti. Nessuna di loro ha mai detto d’aver incontrato Dio… Molte altre persone, invece, il cielo l’han sempre visto dal basso, non sono mai salite nemmeno su di un elicottero, eppure hanno vera esperienza del “cielo”, perché condividono ideali intramontabili, e ovunque vadano, qualsiasi cosa facciano, mostrano il cielo di Dio che interseca la loro vita: ce l’hanno nel cuore, lo si vede riflesso nei loro sguardi, accoglienti, rasserenanti. Costoro non soffrono di claustrofobia, la loro vita non puzza di stantio, o di muffa.

Noi – tutti quanti indistintamente – siamo impastati di terra e di cielo: è la nostra natura; ma noi cristiani dobbiamo testimoniare il cielo soprattutto, perché della terra – e solo della terra – ce ne sono fin troppi testimoni e rappresentanti. Ogni persona infatti lascia trasparire la sua sublime dignità allorché il suo orizzonte è il cielo di Dio. Altrimenti quella persona si riduce a frigorifero, o a manichino, o a materiale da laboratorio. No, non è l’azzurro sopra di noi, dicevo, il cielo di Dio, e tuttavia è un bel simbolo che ci aiuta a capire: quando è limpido, ogni paesaggio è bello… tutto è più bello. Quando, invece, è nascosto da nuvoloni, tutto – anche ciò che per natura è bello – diventa monotono e grigio. Senza il cielo di Dio possiamo riempire la vita di tutto, ma si tratta d’una pienezza monotona, grigia a lungo andare: perché noi – figli di Dio – è di lui che abbiamo bisogno. Ce lo possiamo augurare reciprocamente allora, gli uni agli altri: che il cielo di Dio resti sempre limpido sulla nostra esistenza. A farlo limpido ci ha pensato lui, il Signore. Mantenerlo limpido, in buona parte almeno, è compito nostro.

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina