Pelè, dal mito al santino

La favola del bimbo che grazie al suo talento, in questo caso calcistico, si riscatta dalla povertà “risarcendo” anche un padre a cui solo un maledetto infortunio ha impedito una carriera ai massimi livelli può riservare qualche tranello. Perché è “materiale” scottante, facile ad eccessi melodrammatici da libro Cuore se non si tratta con una certa maestria ed avvedutezza. Se poi questa favola dei tempi moderni non è opera di fantasia ma biografia, l’agiografia è dietro l’angolo.

Copione “perfettamente” rispettato dai fratelli Jeff e Michael Zimbalist, statunitensi che fino ad ora si erano occupati di documentari e che con “Pelé”, sottotitolo “la nascita di una leggenda”, hanno intrapreso la strada della finzione, strizzando l’occhio anche ad un pubblico giovanile, e spiegheremo perché. Con risultati modesti e in qualche passaggio imbarazzanti.

Presentato ad aprile a New York al Tribeca Film Festival e ora nelle sale italiane, la storia dell’ex grande, immenso, calciatore brasiliano, tre volte campione del mondo, che della pellicola è tra i produttori esecutivi, si sofferma sulla prima parte della sua vita, dalla favela di San Paolo dove viveva con la famiglia all’ascesa che lo portò, a soli 17 anni, a vincere la sua prima coppa Rimet in Svezia. Certo i fratelli registi altro non potevano fare che seguire il percorso biografico della stella nascente, l’Edson Arantes Do Nascimento imberbe fanciullo (interpretato dal poco conosciuto Kevin de Paula) il cui genio pedatorio è ispirato da un’immensa fantasia e imprevedibilità, pura magia, metafora-riscatto del popolo nero, degli ex schiavi, a fronte dei bianchi, portoghesi, europei, “dominatori”, sì, la cui forza sottomette e prevale. In una sola parola la “ginga”, il calcio bailado che tanto ha fatto vincere il Brasile prima che i suoi giocatori fossero contaminati dagli schemi europei e massacrati dalla Germania agli ultimi mondiali. Ma per mettere sullo schermo tutto questo ci volevano ben altre mani.

Gli “accenni” alla diversità tra bianchi e neri fin dentro il calcio, lo scontro razziale, latente ma neanche tanto, il razzismo degli uni verso gli altri, tali rimangono, in superficie, decorativi. Le riprese calcistiche sembrano più che altro un videogioco, abbondano di stop motion (e qui il film strizza l’occhio ai ragazzi). Il principio è quello della lotta dell’eroe solitario, il “nostro” Pelé, contro tutti. Non capito neanche dai suoi compagni (e dall’allenatore) prima di dare libero sfogo alla propria classe e prendersi il tetto del mondo, correre verso la vittoria. Certo, tutto vero, è pur sempre una biografia. Ma che, come si è detto fin da subito, “scade” nell’agiografia. Un santino poco riuscito, magari ispirato da sincera ammirazione da parte degli autori nei confronti del “mito” ma infarcito di una patina retorica che qui non è antica e abile arte del racconto ma frusta oratoria.

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