“Sei tu colui che deve venire?”

Is 35,1-6a.8a.10;

Sal 145/146;

Gc 5,7-10;

Mt 11,2-11

“Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”. Questa domanda di Giovanni ci stupisce, quasi ci allarma, improvvisamente mina le certezze che lo stesso precursore aveva deposto in noi.

Com’è possibile che proprio tu, Giovanni, che hai sussultato di gioia nel grembo di tua madre quando hai avvertito la sua presenza, che l’hai additato come l’agnello di Dio che si fa carico dei nostri peccati per liberarci dalle loro catene, che l’hai definito il più grande, ora dubiti di lui? Tu, la cui parola faceva pulsare cuori impietriti, fecondava esistenze sterili, trasformava in giardini deserti esistenziali, ora sei così imperdonabilmente fragile da dubitare? Ma chi ti aspettavi? un re? un salvatore in grado di riscattare Israele dal giogo romano? La sua reggia era una stalla, è mite e umile di cuore, il suo regno non è di questo mondo. Anche tu, Giovanni, “il più grande fra i nati di donna”, sei un uomo come noi, con le tue crisi, i tuoi dubbi, il tuo bisogno profondo di aggrapparti a una certezza, anche tu, “più che un profeta…, il messaggero che preparerà la sua via”, sei piccolo, hai capito ben poco di Lui.

Come mi piace il Battista, lo sento mio fratello, uno di famiglia, di questa nostra malconcia famiglia che è l’umanità ancor prima che la comunità cristiana. Siamo tutti pieni di dubbi, la nostra vita avanza come una nave ridotta a fuscello in un mare in tempesta.

Il Battista macerava in carcere quando i dubbi lo assalirono.

Noi viviamo immersi in un cambiamento d’epoca con le sue luci ma anche con una miriade di ombre, che imprigionano le nostre speranze, le incatenano, rubandoci il futuro: giovani senza prospettive anche molto concrete di lavoro, famiglie che arrancano per far quadrare i conti,anziani intristiti da un senso di abbandono e di inutilità.

C’è una cecità congenita nel nostro modo di vivere che riguarda i bisogni e i ritmi umani: siamo incapaci di vedere che la frenesia, che abbiamo generato e che continuiamo ad alimentare,e la conseguente ossessione per il risultato immediato ci stanno demolendo e disumanizzando.

Come possiamo pensare che sia umano essere condizionati da un’agenda del giorno che pullula di impegni e cose da fare? Ammettiamolo, questa corsa senza una meta finisce per sortire l’effetto contrario, ci paralizza, facendoci accumulare stress. Per qualcuno quest’ansia da prestazione sfocia in forme più o meno celate di disagio, fino a precipitare nel baratro oscuro della depressione. Nonostante la crisi dilaghi su più fronti, diventando crisi di civiltà, affabulatori di ogni tipo ci confondono impedendoci di capire ciò che sta succedendo, ci stordiscono con prospettive e progetti che molto probabilmente non si realizzeranno mai. Dalle nostre prigioni esistenziali e sociali emergono interrogativi profondi: che ne è di questo nostro vivere? la mia, la nostra vicenda umana interessa a Dio, al Dio diventato uomo, a Gesù? la sua presenza sta davvero illuminando e guidando questo povero mondo?

Siamo incalzati da mille domande che lentamente si traducono in dubbi e con Giovanni anche noi gli chiediamo: “Sei tu il Messia tanto atteso, la stella luminosa del nostro mattino, la roccia su cui costruire la casa della nostra vita, il principio e il termine dei nostri giorni, la parola che fa vibrare il nostro cuore svelandogli un destino di amore o dobbiamo aspettare un altro?”.

L’Avvento è il tempo della costanza “fino alla venuta del Signore” come ci ricorda san Giacomo.

Quando il Signore verrà nel suo Natale la sua parola si rivestirà della nostra carne, fiaccata da sofferenze, delusioni, solitudini e dubbi. Si farà carico dei nostri fardelli e risponderà anche a noi come a Giovanni: “I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i sordi odono…”.

Ci dirà: “Sono qui, uomo come te, per aprirti gli occhi su nuove possibilità di vita dove conta l’essere più che l’avere, le relazioni umane più che i rapporti di produzione, la compassione per il povero e il profugo più che l’eccessivo benessere protetto da confini e da muri. Sono qui, uomo come te, per rimetterti in piedi sulla pista della vita, dove correrai per uno scopo, ti attenderà un traguardo: finalmente i tuoi giorni saranno riempiti di intrecci di relazioni, di volti, di storie in cui entrare come protagonista per dare il meglio di te, il tuo amore. Sono qui, uomo come te, per dischiudere i tuoi orecchi, per farti udire melodie nuove, risposte rassicuranti che diraderanno le ombre dei tuoi dubbi.

Sono qui, Dio con te, per sorprenderti e dirti: “Coraggio, non temere!… Felicità perenne splenderà sul tuo capo; gioia e felicità ti seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto”.

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