Il segreto della gioia

At 10,25-26.34-35.44-48;

Salmo 97 (98);

1Gv4,7-10;

Gv 15, 9-17]

Sono più di vent’anni che conosciamo Alberto (nome di fantasia) e che lo seguiamo nel suo quotidiano lottare con la vita, con la paura di non essere amato e soprattutto di non saper amare nel modo giusto. Giunto alla soglia dei quarant’anni sente oramai il peso di una vita sregolata e della solitudine sempre più assordante. I servizi sociali hanno tentato molte strade per ridonargli fiducia e dignità, ma Alberto ha sempre resistito a ogni mano tesa. Desidera la vita, ma cerca la morte. Agli occhi della gente risulta oramai insopportabile e da lasciar perdere. In effetti, chi può capire che i suoi modi sgraziati, maleducati e opportunisti o le sue parole a volte violente e giudicanti sono l’espressione maldestra della sua richiesta di amore? Quante volte di fronte a lui ci siamo domandati: che significa amare? L’amore ci tocca in profondità e nessuno rimane indifferente di fronte a questo argomento. Chi non vuol essere amato? Amare è difficile, allo stesso modo lasciarsi amare. Occorre imparare questo difficile compito come si impara un lavoro.

Il Vangelo della VI domenica di Pasqua, seconda parte del Vangelo di domenica scorsa, ci aiuta in questo cammino di apprendistato. Dalla prospettiva di Dio. Per ben dodici volte fa risuonare il tema dell’amore annunciando l’essenza del cristianesimo e la qualità del nostro essere discepoli di Cristo. Il fine? «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la mia gioia sia piena». Siamo, dunque, di fronte ad una grande sfida: chi di noi non vuole essere nella gioia? Tutto parte dalla decisione di Dio di amare il Figlio e del Figlio di amare noi. In questa circolarità di amore fecondo e generativo noi siamo chiamati a prendere dimora: «come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore». Questo amore che viene dall’alto non è un’ipotesi futura, ma è già realtà. Anzi. Il Risorto ci invita a sentirci a casa in esso, a dimorare nello spazio dell’amore. Noi siamo amati da Dio. Così ribadisce la prima lettera di Giovanni: «Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati». Lasciandoci amare dal Figlio, diveniamo capaci di amare dal momento che l’amore di Dio è sempre fecondo e ricco di vita. È l’amore di Cristo, che ha dato la sua vita per noi, ad insegnarci i sentieri dell’amore reciproco da scegliere e da percorrere ogni giorno. Occorre rimanere in questo amore perché l’amore di Dio non è questione di sentimento o di spontaneità, ma richiede impegno, tenacia, fedeltà e decisione. Proprio per questo, è un amore comandato: «questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi». Amare come Cristo è un continuo uscire da noi stessi per riconoscere nel volto dell’altro non un nemico, ma un amico amato anche lui da Cristo. Questa è la nostra prima missione all’interno delle nostre comunità cristiane.

«Meglio ancora, si tratta di imparare a scoprire Gesù nel volto degli altri, nella loro voce, nelle loro richieste. È anche imparare a soffrire in un abbraccio con Gesù crocifisso quando subiamo aggressioni ingiuste o ingratitudini, senza stancarci mai di scegliere la fraternità. Lì sta la vera guarigione, dal momento che il modo di relazionarci con gli altri che realmente ci risana invece di farci ammalare, è una fraternità mistica, contemplativa, che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che sa scoprire Dio in ogni essere umano, che sa sopportare le molestie di vivere insieme aggrappandosi all’amore di Dio, che sa aprire il cuore all’amore divino per cercare la felicità degli altri come la cerca il loro Padre buono. […

Non lasciamoci rubare la comunità!» (EG 91-92). Proviamo a pensare: che cosa succederebbe se all’interno di un nostro consiglio pastorale parrocchiale i vari membri cominciassero a vivere la missione di fraternità e di comunità? E all’interno delle nostre famiglie? Se a bruciapelo ci facessimo questa domanda: ci stiamo amando reciprocamente come Gesù Cristo ci ha comandato? Che cosa potremmo rispondere? Alle volte, pare che obbediamo di più alle voci del conflitto, della prepotenza, del diffuso individualismo piuttosto che al Vangelo. «Chiediamo al Signore che ci faccia comprendere la legge dell’amore. Che buona cosa è avere questa legge! Quanto ci fa bene amarci gli uni gli altri al di là di tutto! Sì, al di là di tutto.» (EG 101). Questo è il «frutto che rimane» e questa è la nostra prima missione. Nessuno escluso. Come Pietro che, nella prima lettura, si deve arrendere all’azione potente dello Spirito santo e riconoscere il primato di Dio nella sua vita. Il grande apostolo, amato da Dio, è chiamato a imparare nuovamente dall’amore inclusivo e ospitale di Dio. Pietro comprende che «Dio non fa preferenze di persone», ma che desidera che tutti divengano tralci dell’unica vite vera che è suo Figlio, il Risorto. Buon cammino di gioia piena!

a cura della Comunità Monastica di Pian del Levro

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