Senza dimora, la sfida della relazione

“Guadagnare la fiducia di una persona senza dimora richiede tempo, pazienza e grande capacità d’ascolto”

Spesso camminando in città capita di imbattersi in qualcuno che, sotto una coperta, adagiato su cartoni, dorme rannicchiato su una panchina o sotto un portico; probabilmente ce ne saremo allontanati allungando il passo. Ma chi sono quelli che comunemente chiamiamo “barboni”? Perché stanno in strada? Chi si occupa di loro e in che maniera? Dell’accoglienza delle persone senza dimora si è parlato nel pomeriggio di venerdì 25 gennaio nella sala della Fondazione Caritro di Trento, per iniziativa di Olre l'accoglienza e Cnca. L’obiettivo è stato quello di conoscere e capire secondo quali principi e con quali strategie d’intervento è affrontato il disagio delle persone adulte in uno stato di grave emarginazione nei territori diversi dal Trentino, e nello specifico a Bologna.

“Bologna conta 4000 senza tetto ogni anno – racconta Monica Brandoli, responsabile del Servizio Contrasto alla Grave Emarginazione Adulta dell’Azienda pubblica di Servizi alla persona (ASP) “Città di Bologna” -. Questo è il numero di persone che passano in città in un anno, ma che non vi si stanziano se non temporaneamente”. Fra di essi troviamo adulti in situazione di grave povertà, Rom, individui appena usciti dal carcere, tossicodipendenti, LGBT, coppie, donne vittime di violenza; una grande varietà di persone su cui si opera fornendo servizi direttamente in strada, strutture per dormire, assistenza sanitaria e attività di integrazione. “Inizialmente ci occupavamo di servizi di strada semplici – continua Brandoli -: coperte, tè caldo, intervento dei servizi sociali; ora puntiamo molto di più sulla relazione, facendo affidamento ad una rete multiprofessionale di persone che lavora nei nostri servizi e nelle nostre strutture”.

Francesca Spinato, coordinatrice del progetto Città Prossima, servizio di strada a disposizione dei senza tetto anche di notte quando gli altri aiuti sono assenti, racconta che “tenere queste persone in una relazione è la sfida più grande. Solo la costruzione di un rapporto permette infatti di fare proposte mirate di ricollocamento che il soggetto può portare a termine. Non è un compito facile, guadagnare la fiducia di un senza dimora richiede tempo, pazienza e grande capacità d’ascolto”.

Una volta che essi hanno accettato l’inserimento all’interno di una struttura, “è importante che ogni singola persona venga ‘pensata’, cioè che venga accompagnata in un percorso, senza una linearità e una quantità di tempo prestabilita, ma che lo tenga il più lontano possibile dalla strada”, riprende Brandoli. “L’obiettivo della nostra assistenza è rendere ognuno consapevole della propria capacità di mettersi in gioco in un progetto”.

Tale possibilità a Bologna passa attraverso numerose iniziative. Una di queste è l’esperienza del Condominio Scalo, una struttura dove prendono alloggio i senza tetto e all’interno della quale si impara a vivere assieme e gestire i conflitti. “In questo tipo di progetto noi operatori – racconta Serena Panico, coordinatrice della struttura – rinunciamo a parte del controllo per lasciare che gli abitanti del condominio creino da soli delle regole di coabitazione durante le assemblee settimanali”. Il progetto si muove anche sul fronte dell’integrazione lavorativa: al primo piano è situato infatti uno dei vari laboratori di comunità presenti a Bologna, all’interno del quale si organizzano le più svariate attività, dal corso di inglese a quello di cucito, che permettono ai senza dimora di acquisire competenze trasversali utili nel mondo del lavoro e allo stesso tempo mirano alla loro integrazione, poiché le attività sono aperte a tutta la comunità.

“Per quanto riguarda la reintegrazione lavorativa, stiamo anche lavorando a tre tre start-up – ci annuncia Monica Brandolini -: la prima ha l’obiettivo di produrre pasta fresca da vendere ai ristoranti, la seconda crea un servizio di ‘tuttofare’ per piccoli lavori domestici e la terza prevede la creazione di inediti percorsi turistici pensati dai senza tetto e dai residenti, da proporre ai visitatori della città”. È fondamentale che l’integrazione passi anche attraverso il coinvolgimento dei bolognesi: questi progetti offrono sostegno anche ai cittadini, dando loro la possibilità di segnalare situazioni difficili e facendo capire che intervenire non significa semplicemente far sgomberare le persone senza dimora, ma dare loro un aiuto che va oltre l’offerta di un posto caldo.

“Quella bolognese è un'esperienza dalla quale anche la realtà trentina può trarre ispirazione”, conclude Vincenzo Passerini, esperto dei temi dell’accoglienza. “L’augurio è quello di vedere sempre meno persone in strada o cacciate in strada”.

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