All’inizio di un nuovo anno

Quando si riflette sulla storia sembra di essere nella condizione dei nani che stanno sulle spalle dei giganti

Siamo giunti alla fine dell’anno liturgico. Con questa domenica ne ricomincia un altro. L’Avvento ci dà di nuovo la grazia di vivere l’attesa del Natale. Un altro anno che il Signore ci concede. Per questo occorre ringraziare Dio cercando di fare dei propri giorni, come si riesce, nelle piccole cose quotidiane, una grande liturgia di ringraziamento, appunto una personale eucaristia. Così il tempo prende per davvero significato.

Già, il tempo. Quando un anno finisce ci si guarda indietro. Quando si riflette sulla storia sembra di essere nella condizione dei nani che stanno sulle spalle dei giganti – così piccoli e inadeguati siamo – oppure dei nani che hanno sulle spalle dei giganti, con il rischio di essere schiacciati dal peso di un passato che non passa. Questa epoca manca però di uno sguardo lungo. Siamo soffocati dal presente, dai problemi del presente. Rincorriamo disperatamente il qui e ora. Vogliamo subito risposte: dalla scienza, dalla politica, dalla Chiesa, da Dio. Tutto diventa frammentario, parziale, specialistico e quindi settoriale. Guardando da lontano però i problemi che oggi ci sembrano scottanti si rivelano inezie, mentre questioni tralasciate diventano quelle più dirimenti per la nostra vita.

Bisogna chiedere a Dio di essere capaci di uno sguardo lungo, necessario per rintracciare nel passato la continua e incessante azione provvidenziale di Dio. Guardare indietro per attendere con fede il futuro: questa è la dinamica della fede biblica.

A volte mi viene da fare un bilancio del cristianesimo. Venti secoli di Chiesa. Cosa è rimasto del lieto annuncio di Cristo? La storia ha trasformato, ha sovvertito, ha illanguidito, ha rafforzato, ha spento la nostra fede? In primo luogo è necessario certamente riflettere sul fatto che la Chiesa, con tutte le mancanze possibili, ha però mantenuto e trasmesso fino alla nostra generazione il nucleo del messaggio cristiano. Il deposito della fede è stato custodito: la Chiesa proclama ancora il Vangelo, la Chiesa proclama ancora la morte e la risurrezione di Cristo. Tutto parte da lì. Questo è il punto irrinunciabile. Gesù è vivo, è la primizia del Regno, di un nuovo regno basato sull’amore e sulla misericordia. Gesù adempie le scritture: per questo l’Antico e il Nuovo Testamento non possono essere disgiunti ma formano un’unità. Gesù, Verbo incarnato, rivela il Padre e lo Spirito, manifestando l’unico e triplice volto di Dio, riassunto nel dogma trinitario. Ancora oggi i cristiani sono uniti intorno a questo credo.

Per il resto, guardando attraverso i secoli, dobbiamo registrare divisioni, lotte fratricide, interpretazioni molto diverse (specie nell’ambito della morale e dell’organizzazione della Chiesa), errori, cadute, slanci, difficoltà nel rapportarsi con un mondo che, specie dalla rivoluzione scientifica in poi, si sta piano piano secolarizzando. Negli ultimi decenni poi tutte le confessioni e comunità cristiane arretrano come numero di fedeli. Anche i credenti faticano a declinare le verità della fede nel contesto odierno, caratterizzato dal predominio della mentalità tecnica, dalle promesse della scienza, dalla globalizzazione, dalla democrazia e dal pluralismo dei valori e delle culture. La repentina mutazione dei costumi e degli stili di vita, dalla famiglia al rapporto con il lavoro, ha fatto il resto: ora parole come salvezza, peccato, sacramento, giudizio, paradiso, inferno hanno subito una torsione incredibile rispetto a quello che significavano per la tradizione. Non parliamo poi delle scelte etiche, campo in cui ciascuno pensa per sé reclamando la libertà di coscienza. Forse è giusto così, ma intanto predomina la confusione.

La sfida maggiore della Chiesa di oggi, che comunque è sempre “contemporanea” a Cristo, sta proprio nella necessità di riproporre il primigenio annuncio della fede attraverso un nuovo linguaggio, ripensando un po’ tutto, avendo la forza di rimettere in discussione le strutture consolidate senza togliere nulla alla radicalità evangelica. Questo mi sembra ci chiami a fare papa Francesco, questo l’augurio per il prossimo anno.

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