Autonomia differenziata. Serve una riflessione

Di autonomia differenziata ha parlato anche il card. Matteo Zuppi al Festival dell’economia a Trento

Il Paese non crescerà se non insieme”. Una posizione che i Vescovi italiani esprimono fin dall’immediato secondo dopoguerra. Se l’unificazione italiana, nella seconda metà dell’800, aveva causato qualche problema, successivamente l’unità diventa invece un valore. Un’unità che peraltro va declinata in una dimensione plurale, dove anche le comunità locali (non i localismi) siano da considerare una risorsa indispensabile e soggetto costitutivo della Repubblica.

Sul tema in parte controverso dell’autonomia differenziata è intervenuto pochi giorni fa nientemeno che il Consiglio Episcopale Permanente, avendo raccolto e fatto “proprie le preoccupazioni emerse dall’Episcopato italiano” nel corso dei lavori della 79ª Assemblea Generale della CEI.

Una posizione che può offrire qualche spunto di riflessione anche ai territori autonomi per antonomasia, Trento e soprattutto Bolzano.

I Vescovi ricordano «il dovere e la volontà della Chiesa di essere presente e solidale in ogni parte d’Italia, per promuovere un autentico sviluppo di tutto il Paese». È la storia del Paese, scrivono nella nota, “a dirci che non c’è sviluppo senza solidarietà, attenzione agli ultimi, valorizzazione delle differenze e corresponsabilità nella promozione del bene comune”.

“In particolare”, scrivono i Vescovi, “crediamo che la parola ‘insieme’ sia la chiave per affrontare le sfide odierne e la via che conduce a un futuro possibile per tutti. Siamo convinti infatti – e la storia lo conferma – che il principio di sussidiarietà sia inseparabile da quello della solidarietà. Ogni volta che si scindono si impoverisce il tessuto sociale, o perché si promuovono singole realtà senza chiedere loro di impegnarsi per il bene comune, o perché si rischia di accentrare tutto a livello statale senza valorizzare le competenze dei singoli. Solidarietà e sussidiarietà devono camminare assieme altrimenti si crea un vuoto impossibile da colmare”.

“Da sempre”, continua la nota, “ci sta a cuore il benessere di ogni persona, delle comunità, dell’intero Paese, mentre ci preoccupa qualsiasi tentativo di accentuare gli squilibri già esistenti tra territori, tra aree metropolitane e interne, tra centri e periferie. In questo senso, il progetto di legge con cui vengono precisate le condizioni per l’attivazione dell’autonomia differenziata – prevista dall’articolo 116, terzo comma, della Costituzione – rischia di minare le basi di quel vincolo di solidarietà tra le diverse Regioni, che è presidio al principio di unità della Repubblica”.

Un rischio da non sottovalutare, “in particolare alla luce delle disuguaglianze già esistenti”, tenendo peraltro conto che lo sviluppo del sistema delle autonomie non è affatto estraneo alla dottrina sociale della Chiesa. Tutt’altro: la sua costruzione “con Luigi Sturzo, nel secolo scorso, è stata uno dei principali contributi dei cattolici alla vita del Paese”. Dunque?

I Vescovi non condannano l’autonomia differenziata in quanto tale – tanto più che essa è prevista dalla Costituzione – ma invitano a lavorare a un “patto sociale e culturale, perché si incrementino meccanismi di sviluppo, controllo e giustizia sociale per tutti e per ciascuno”.

La sfida è raccolta dai territori a maggiore tradizione autonomistica?

Il presidente altoatesino (nonché presidente della Regione) Arno Kompatscher, ascoltato a inizio aprile dalla Commissione Affari costituzionali della Camera, aveva detto come l’autonomia può “essere strumento di sviluppo economico e sociale, nell’interesse della Regione e delle Province autonome ma anche del Paese”.

“Siamo tra le Regioni che sono contribuenti nette, nel senso che la nostra spesa pubblica è inferiore al nostro gettito fiscale e lasciamo qualcosa allo Stato. Questo a dimostrazione che l’idea di autonomia non è in contrasto con la solidarietà”. L’autonomia va abbinata a strumenti di solidarietà (“in questa riforma individuati nei Livelli essenziali delle prestazioni”) e “un sistema veramente autonomistico, che lasci spazio alle regioni, può essere un passo avanti anche in termini di pace sociale”.

L’autonomia non può essere ridotta alla possibilità di fare il più possibile da sé, né la solidarietà si può limitare a mettere a disposizione degli altri ciò che avanza.

La sfida – che richiederebbe uno sviluppo di pensiero in particolare da parte di chi vanta la maggiore esperienza in tema di autogoverno – è il superamento della dicotomia tra interesse locale e interesse nazionale in una prospettiva orientata al bene comune.

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