BRICS, il gruppo dei 5 vuol farsi più forte

Le bandiere e il simbolo dei cinque Paesi aderenti al Brics: Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica

Un’altra sigla di cui dovremo abituarci a sentire parlare: BRICS e cioè il gruppo di 5 Paesi – Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa – nato nel 2009 dopo la grande crisi finanziaria globale del 2008 scatenata dai fallimenti delle principali banche statunitensi. Se quella di difendersi dagli effetti negativi della globalizzazione finanziaria è stata la ragione originaria per aggregarsi, fino ad oggi la presenza di questo nuovo gruppo è stata scarsamente avvertita anche perché la crisi finanziaria si è alla fine risolta. É con l’inizio della guerra voluta dalla Russia contro l’Ucraina che il gruppo ha ripreso una certa vitalità. Il forte coinvolgimento in aiuti militari ed economici degli Usa in sostegno di Kyiv ha infatti spinto Vladimir Putin a trovare rifugio nelle capaci braccia del leader cinese Xi Jinping che ha colto questa occasione per prendere la guida dei BRICS in funzione essenzialmente anti-occidentale.

L’obiettivo dichiarato è infatti quello di ribilanciare le relazioni internazionali contrapponendo i BRICS al G7, il gruppo delle grandi potenze industriali dell’occidente nato addirittura nel 1974 per iniziativa dell’allora presidente francese Valery Giscard D’Estaing. La prima impressione è quella di rivivere l’esperienza di un mondo diviso in due sfere di influenza, come ai tempi della guerra fredda, con un Urss ad est contrapposta agli Usa e all’Europa occidentale. Solo che questa volta a contrapporsi sono Pechino e Washington. In realtà la storia non si ripete mai allo stesso modo.

Il G7 è da tempo meno influente che nel passato. Di fronte al crescere, anche nel campo economico, di nuove potenze in Asia e in America Latina il G7 ha deciso di essere affiancato da un più ampio G20 che include anche i Paesi che hanno dato vita al BRICS. Ciò significa che la vera ragione del rilancio dei BRICS non è quella di promuovere l’insieme della cooperazione internazionale, ma invece di agire per proprio conto senza la partecipazione e l’eccessiva influenza di americani ed europei. In effetti i 5 Paesi che fino ad oggi sono parte del gruppo vogliono rappresentare il Sud Globale del mondo in alternativa al mondo occidentale.

Si ripropone in definitiva il modello ai tempi di Urss e Usa del cosiddetto Terzo Mondo, composto da quei Paesi che si definivano come non allineati. Ed in effetti anche oggi i membri del Brics, a parte ovviamente Russia e Cina, non hanno applicato le sanzioni economiche contro Mosca e si sono limitati a disapprovare l’invasione dell’Ucraina. Tuttavia rispetto al passato il gruppo dei 5 conta per il 42% della popolazione mondiale (basti pensare al peso di Cina e India) e produce circa il 26% del Pil globale. Certamente un gruppo molto più potente e influente del passato. Nella recentissima riunione di Johannesburg in Sudafrica è stato deciso un allargamento ad altri 6 Paesi allo scopo di rendere ancora più potente e concorrenziale il gruppo rispetto al G7.

Ma la scelta dei nuovi aderenti ha sollevato qualche perplessità. È ad esempio il caso dell’Arabia Saudita cooptata assieme all’Iran. Come è noto i due Paesi sono stati ferocemente nemici rispetto all’influenza da esercitare sul Medio Oriente anche perché i primi sono i capifila dei Paesi sunniti mentre Teheran rappresenta il movimento sciita notoriamente in lotta con i confratelli sunniti. Per di più Riad mantiene buoni rapporti con Washington mentre l’Iran considera gli Usa il “diavolo” da battere a tutti i costi. La verità è che i sauditi, il più grande produttore di petrolio del mondo, interessano enormemente alla Cina, il maggiore consumatore globale, mentre l’Iran aggiunge un’importante dimensione di antiamericanismo ai BRICS, utile a Pechino per riaffermare il carattere conflittuale dei Brics nei confronti dell’ Occidente.

L’aggiunta poi di Etiopia, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Argentina non fa altro che rendere sempre meno omogeneo il gruppo che già originariamente scontava una forte disarmonia rappresentata dalle contese di confine, ma non solo, fra Cina ed India oggi in gara fra di loro anche sul piano economico e della supremazia in termini di popolazione (l’Onu ha da poco segnalato il sorpasso dell’India sulla Cina). Tenere assieme il gruppo non sarà davvero facile anche perché questi organismi internazionali mancano delle strutture e degli strumenti per rendere vincolanti per tutti i membri gli orientamenti e le decisioni che vengono prese. É una debolezza che riguarda anche il più sperimentato G7 o lo stesso G20.

Si tratta infatti di raggruppamenti tipicamente intergovernativi dove vale la volontà nazionale del singolo Paese che può decidere a posteriori se e come applicare un eventuale accordo raggiunto nel gruppo. Nulla quindi da spartire con un’istituzione sovranazionale come l’UE, dove i meccanismi decisionali e le regole comuni valgono obbligatoriamente per tutti. Nel caso dei BRICS è abbastanza evidente che il valore del raggruppamento è più di carattere simbolico, che concreto.

La sua esistenza si giustifica con l’obiettivo politico di ribilanciare le relazioni internazionali rispetto ad un Occidente che ha sempre avuto un’enorme influenza sugli orientamenti politici, economici e di sicurezza del mondo. Ma in realtà, come per l’Occidente la parola finale è quasi sempre nelle mani degli Usa, per i Brics a dettare la linea rischia di essere la sola Cina.

Insomma, un mondo bipolare che non promette nulla di positivo e che come ai tempi di Usa e Urss tende a marginalizzare ed indebolire ulteriormente il ruolo dell’unica istituzione realmente globale, le Nazioni Unite.

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