C’è voglia di indipendenza?

Il caso della Catalogna è un “evento globale” anche perché inatteso

Le notizie provenienti dalla Spagna (o, se si preferisce, dalla Catalogna) hanno suscitato forte impressione negli osservatori italiani. Come spesso avviene, il Paese si è diviso in “scuderie” contrapposte: chi a favore degli indipendentisti, chi a difesa dell’integrità territoriale propugnata da Madrid. I commenti, non sempre motivati (talvolta neppure informati), hanno riempito i social network. Sarebbe perciò interessante approfondire le ragioni di questo improvviso interesse, da parte degli italiani, per un tema come questo. Si tratta della solita “bolla” digitale, che ha riguardato il braccio di ferro in atto in Spagna per una mera questione di circostanze, o possiamo parlare di un vero e proprio “nervo scoperto”, che evidenzia un’integrazione nazionale incompiuta, anche alle nostre latitudini?

Omar

Non è ancora chiaro come andrà a finire la questione catalana. Tutti auspicano che prevalga la ragione da ambo le parti. Non è questa la sede per fare una riflessione sulla storia spagnola, sul franchismo e sul ritorno alla democrazia e infine sulle controversie costituzionali e autonomistiche degli ultimi anni. La tua domanda invece verte su un particolare aspetto scaturito dalla vicenda, cioè l’interesse suscitato in Italia (e potrei aggiungere anche in Trentino e in Alto Adige).

Gli ingredienti per attrarre la nostra attenzione – comprese le reazioni scomposte di molti politici – ci sono tutti: la vicinanza dei luoghi (Barcellona è piena di italiani); il rapporto tra centro e periferia; la sorpresa di fronte a una richiesta così decisa di indipendenza; la comparsa dei manganelli scagliati contro persone sicuramente civili e non violente; la relazione tra la cornice giuridica e le istanze politiche.

Sarebbe stato davvero strano se tutto ciò non avesse colpito l’opinione pubblica di tutta Europa. Questo è sicuramente un bene: vuol dire che teniamo ancora un po’ alla nostra democrazia. Il caso della Catalogna è un “evento globale” anche perché inatteso. Richiama concetti dati per morti troppo in fretta almeno in Europa: l’identità, la lingua, la bandiera, l’onore dello Stato nazionale, la libertà di autodeterminazione dei popoli, i confini… Sono questi invece i “nervi scoperti” con cui dobbiamo confrontarci. Per una volta l’Italia sembra essere molto più moderata e ragionevole di altri Paesi. Persino gli esponenti politici della Lega Nord, messa nel cassetto la secessione della Padania, hanno preso le distanze dagli indipendentisti catalani affermando che i referendum in Lombardia e in Veneto, in programma per domenica 22 ottobre, sono solo una base di partenza per un dibattito inserito in un alveo legale e costituzionale.

La storia spagnola è diversa da quella italiana. L’Italia non ha differenze regionali così marcate: ogni città presenta invece le sue caratteristiche peculiari. Venezia non è Verona. Padova vuole mantenere la sua identità. Ogni città possiede una variante dialettale. A livello regionale, non esistono lingue univoche con una secolare tradizione letteraria come è il catalano. Benché diviso in molti staterelli fino a circa 150 anni fa, il nostro Paese si è sempre caratterizzato per le mille differenze territoriali, spesso non ascrivibili ad unità più ampie, come potrebbero essere le comunità autonome spagnole (quasi tutte con una storia ben precisa alle spalle).

Il pericolo è che l’Italia diventi il Paese delle “opposte tifoserie”, incapace di fare una sintesi unitaria. Tendiamo a chiuderci nel privato, a fare i nostri piccoli interessi in nome del “si salvi chi può”, accusiamo lo Stato di ogni inefficienza, non ci sentiamo comunità. L’equilibrio è delicato. Per mantenerlo abbiamo bisogno dell’impegno di tutti nella consapevolezza che, oggi più di ieri, è il momento della concordia, non della divisione, dell’unione delle diversità, non della separazione più o meno violenta o consensuale.

Per questo credo che l’interesse per gli avvenimenti catalani sia sincero. Come dici tu dobbiamo ancora procedere verso una integrazione compiuta, locale, nazionale ed europea. Penso che la dimensione locale sia fondamentale. In Catalogna la storia poteva andare altrimenti: il sentimento nazionalistico – abbastanza surreale davanti a un mondo globalizzato – è stato alimentato dall’intransigenza di Madrid, ma pure aizzato da una narrazione vittimista e pericolosamente identitaria di parte dei catalani. Occorre guardarsi da queste derive. E qui dovremmo parlare di autonomia, federalismo, integrazione europea, democrazia partecipativa, economia di comunità… Sono sfide difficili ma affascinanti.

Solo un punto vorrei sottolineare: questi problemi non possono dimenticare un fenomeno fondamentale del nostro tempo, cioè quello delle migrazioni. Se non includiamo i nuovi arrivati in Europa, se pensiamo di creare cittadini di serie A e di serie B (o magari lasciarli invisibili), se erigiamo muri concreti e mentali allora si rinfocoleranno istinti identitari ingestibili. Gli esiti sarebbero imprevedibili. Avere un’identità è necessario ma oggi l’unica identità possibile è quella aperta, inclusiva, fiduciosa, conviviale, capace di futuro. Non sono belle parole, ma sono gli elementi primari per mantenere la pace e il benessere..

vitaTrentina

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