Cogli la prima mela? No, la pesca… dello scandalo

Il controverso spot su una famiglia di genitori separati

C’era una volta la mela della discordia e oggi c’è la pesca dello scandalo. Antiche e nuove storie. La mela è quella mitica del giardino piantato in Eden che mise discordia tra uomo e donna, troncando sul nascere il canto di gioia ‘carne della mia carne, osso delle mie ossa’. La pesca è quella molto più prosaica tirata fuori dal bancone di un noto supermercato lombardo per vendere di più, facendo leva sul dolore della vittima incolpevole della divisione archetipica: una figlia ancora piccola che desidera una sola cosa, il ricongiungimento dei genitori. La prima è storia sacra, una sorta di ferita originale che attende da sempre di essere sanata – il linguaggio religioso userebbe la parola ‘salvata’. La seconda è una storia lunga, che dura almeno dalla nascita della tv commerciale in Italia, cioè fine anni ’70-inizio ’80, quando le emittenti private cominciarono a vendere spettatori agli inserzionisti, alcune per campare, altre per fare soldi.

Qualcuno, col supporto politico giusto, per costruirci un impero. Fu così che la pubblicità dilagò nella televisione e, come la tivù, cambiò natura. Non erano più storie collegate a prodotti di consumo che si distinguevano dagli altri simili facendo leva sulla propria qualità (Le stelle sono tante, milioni di milioni, la stella di N. vuol dire qualità!), o si inventavano teleballate animate bislacche per farli ricordare (Al castel di Camelotto c’è risotto col ragù però manca Lancillotto e si arrabbia il buon re Artù…). Adesso facevano leva direttamente su emozioni, sentimenti e valori a cui sposavano il prodotto di consumo con rito estetico-emotivo e falso sillogismo (più o meno: Le famiglie felici mangiano la pasta a casa, B. è una pasta, dove c’è B. c’è una famiglia felice). Ma con l’andare degli anni le famiglie felici si assottigliavano e crescevano quelle infelici… si richiedeva dunque di modificare il sillogismo. E così è successo. Messa in scena e montaggio precisi, una piccola interprete che buca lo schermo e regge anche nel parlato, in due minuti la sintesi psicologicamente verosimile di un vissuto di sofferenza infantile in contesto familiare diviso.

Ma, improvvisamente, l’Italia s’è desta, ed è scandalo e bagarre. Strumentalizzazione dell’infanzia? Mercificazione dei sentimenti? Banalizzazione dei traumi familiari? Yesss! Ma dov’è la novità? Dalla fine degli anni ’90 ci sono perfino i dati su quanto frutti al supermercato far leva sui bisogni indotti nei bambini (me lo compri, papà? – o mamma, cambia poco…). Se proprio vogliamo, la novità è che qui non si vende un prodotto ma una grande distribuzione. In un certo senso è lo smascheramento del Sistema, un sistema che spinge sul consumo materiale per compensare l’infelicità esistenziale. Sempre crescente, sempre più giovane, sempre più priva di speranza. Sempre più imprigionata nel negativo. Come il claim – un tempo lo chiamavamo slogan – con doppia negazione: Non c’è spesa che non sia importante… I latini direbbero che una doppia negazione fa un’affermazione: è l’orizzonte di positività che possiamo permetterci oggi?

E tuttavia, se la guardiamo bene, quella bambina ci dice che il sistema è alla frutta, e che quella frutta è pure marcia. Il problema, però, non è cambiare lo spot, è il sistema che va cambiato. Ma per cambiare il sistema bisogna che cambino le persone. Bisogna staccare gli occhi e gli orecchi dalle sirene materialiste del Mercato, voltarsi indietro, guardarsi dentro e poi intorno con occhi nuovi. E sentire infine che, sì, anche una pesca può bastare. Se è il frutto non avvelenato di un albero che si offre liberamente e gratuitamente a tutti.
Allora anche Emma potrà tornare a sorridere.

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La pubblicità che tratta il tema delicato della separazione dei genitori dal punto di vista dei più piccoli. Uno spot che emoziona perché si rimane spiazzati dalla veridicità di alcuni atteggiamenti, a cominciare dall’apparente modo semplice di risolvere le cose che hanno i bambini, dotati di un’empatia stupefacente che quasi sempre li fa tendere all’unione piuttosto che alla separazione.

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