Come recuperare il senso di comunità?

Non so se a causa del momento storico che stiamo vivendo o semplicemente dal superamento dei modelli di riferimento tradizionali, ma la società moderna non mi entusiasma. Ho quarant’anni, non sono un vecchietto, ma trovo che questo modello di società non mi appartiene.

La mancanza del senso di comunità, l'esasperazione dell'individualismo, la ricerca del benessere personale a discapito della collettività sembrano animare le azioni della maggior parte delle persone che non sembrano curarsi delle conseguenze delle loro decisioni che inevitabilmente vincoleranno ed influenzeranno le generazioni future.

Forse è una visione un po' pessimistica ma credo che se le azioni di tutti noi fossero guidate ed influenzate da una memoria storica, da un senso di appartenenza, da un po' di spirito di sacrificio potremmo creare una comunità più viva e sana.

Come ritrovare questi sentimenti? Questa visione del mondo e della vita?

Ciao,

Alessio

Caro Alessio,

da tuo quasi “coetaneo”, non posso che condividere le tue osservazioni. Questa società non ci piace. Saremo all’antica, non saprei. Non comprendo molti dei comportamenti di chi ha pressappoco la nostra età, ho rinunciato a voler capire le nuove generazioni.

Hai centrato il punto: la caratteristica principale della società contemporanea è l’esasperato individualismo. Che si può cogliere ad ogni livello. Nessuno è immune, neppure noi. Alcuni esempi. Cominciamo dalla tecnologia informatica ormai pervasiva e onnipresente. Al pc si opera da soli, non c’è scampo. Abbiamo la nostra pagina Facebook individuale in cui, per una sorta di delirio egocentrico, spesso mettiamo fotografie e commenti personalissimi, che non interessano a nessuno ma che forse ci fanno sentire “importanti”. Intanto tutto viene “individualizzato”: Google ricorda ogni nostra scelta e ci suggerisce quali siti visitare, da quali fonti di informazione apprendere le notizie, che cosa comprare, che cosa è trendly, che cosa pensare.

Cambiando scenario, anche il lavoro è personalizzato e frammentato. Precario o autogestito il modello vincente di lavoro è quello in cui l’individuo sa organizzarsi in maniera autonoma, riuscendo, magari con fantasia e caparbietà (ma in Italia anche con le spinte giuste…), a “inventare” la propria occupazione. “Stando sul mercato”, come si dice oggi.

Vediamo le difficoltà in cui versa la famiglia tradizionale. Non serve rimpiangere modelli antichi, che noi conosciamo poco, ma è certo che molte famiglie di oggi, anche se sorte magari con un matrimonio civile o religioso, sembrano formate da una coppia di singoli individui, non da un’unità. La coppia può rompersi in ogni momento, basta che gli interessi di un singolo componente divergano da quelli dell’altro. Si sta insieme per un progetto individuale non “di famiglia”.

Di qui la fragilità di ogni senso civico, di ogni “appartenenza” a una comunità. Quindi, se ognuno bada a sé, non potrà mai esistere un collettivo. La memoria storica vacilla proprio per questo: perché devo interessarmi del futuro, se con la mia vita finirà tutto?

Un tempo era forse vero l’opposto: la vita di paese consentiva un maggiore senso di comunità ma pure il diffondersi di dicerie e il moltiplicarsi di liti che si trasmettevano alla generazione successiva; la famiglia patriarcale poteva essere molto unita ma anche non rispettare l’autonomia delle persone. Viviamo certo in un mondo molto diverso. Inutile sarebbe però avere eccessiva nostalgia del passato.

Dici bene che bisogna recuperare il “senso di sacrificio”. Ma come spiegarlo? Come proporlo ai ragazzi? Penso che ogni legame umano (dall’amicizia, al matrimonio, al “contratto” civile che ogni giorno continuiamo a rinnovare) necessita della capacità di rinunciare a qualcosa di sé per fare spazio all’altro. Questo è inevitabile: se nessuno vuole rinunciare almeno un poco alle proprie visioni, idee, aspirazioni, non si riuscirà a creare una comunità. Forse questo bisognerebbe insegnare.

vitaTrentina

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