Cos’è il limite?

Un po’ ci conosciamo. Buona parte di ciò che conosciamo dell’uno e dell’altra è attraverso quello che scriviamo. La nostra geografia del contatto si consuma attraverso le parole. Una delle “faccende” che trovo più intriganti è quella del concetto di confine e di quello di limite. Cos’è il limite e in che modo esso interviene nella trasformazione di uno spazio in luogo, nel tuo vissuto?

Sara

In poche righe sei riuscita a esprimere molti concetti che fotografano la realtà contemporanea, soprattutto per quanto riguarda le relazioni umane. Noi di persona ci siamo incontrati poche volte, ma invece ci sentiamo spesso attraverso i nuovi canali tecnologici che, in un certo senso, hanno ridato centralità alla comunicazione scritta.

Tuttavia ci troviamo di fronte a una scrittura del tutto particolare, istantanea, poco curata, praticamente un parlato digitato su una tastiera. Non è facile scambiarsi informazioni in questo modo, ancora di meno gli stati d’animo che tanto contano in una conversazione reale. Si sono così inventati gli emoticon, cioè le faccine, per esprimere visivamente qualche sentimento: ma sono semplici surrogati, lontanissimi da quella forza emotiva che scaturisce da un semplice sguardo oppure dal tono della voce.

La comunicazione attraverso Internet ha abbattuto qualsiasi distanza, ma non ha cancellato i limiti connaturati alla distanza. Anzi quasi percepiamo maggiormente questi ostacoli invisibili. Attraverso uno schermo che non ci potrà mai essere un contatto reale: affermazione scontata forse, ma spesso ce ne dimentichiamo. Dentro di noi sentiamo di avere dei limiti anche se sentiamo il bisogno di oltrepassarli, di trascenderli. Limiti con noi stessi, con gli altri, con la dimensione del divino. Non è sempre facile accettarli. Eppure esistono e dobbiamo comprenderli.

È molto bella la tua idea per cui, attraverso il limite (cioè attraverso l’accettazione di questo), gli spazi, di per sé anonimi, possono diventare luoghi ricchi di significato. Così, se coltiviamo il nostro spazio interiore, esso può diventare un luogo dell’anima. Nelle relazioni di amicizia o di lavoro siamo chiamati a rispettare i limiti dell’altro, cercando di non nascondere le asperità ma anche i pregi del prossimo che abbiamo di fronte. Ma quali sono questi limiti impossibili da oltrepassare e che dobbiamo invece accettare? Il fatto di non essere soli al mondo; di non bastare a noi stessi ma di desiderare un contatto con gli altri; di avere una comprensione della realtà appunto limitata, quindi bisognosa degli apporti altrui; di non avere sempre ragione. Se non avessimo limiti tenderemmo a occupare ogni spazio, a invadere territori che non ci spettano, a procedere senza guardare in faccia a nessuno.

Questi limiti però non sono dati una volta per tutte, sono per così dire porosi, mobili, mutevoli nel tempo, sempre provvisori: la vita cambia e ci cambia in continuazione. Dobbiamo avere speranza (e fede) per affrontare con ottimismo questi cambiamenti. Altrimenti cadiamo nella paura. Essa trasforma i nostri limiti in barriere, confini, muri, fili spinati dentro i quali ci rinchiudiamo nell’illusione di essere più sicuri. La non accettazione delle nostre fragilità produce la paura e quindi l’incapacità di comunicare faccia a faccia.

Non è un caso che i racconti del peccato di Adamo e dell’omicidio di Abele abbiano al centro proprio questo: la trasgressione consiste nella non accettazione del limite; questo rifiuto non genera felicità ma angoscia (Adamo prova timore quando sente i passi di Dio nel giardino); e quella stessa angoscia spinge Caino ad uccidere suo fratello, per invidia di essere di meno di lui.

Questa riflessione non può non farci parlare del presente, delle migrazioni, dei limiti e dei confini, della paura del diverso che ci fa sbarrare porte e finestre. Qui si aprirebbe un altro discorso dalle enormi implicazioni. Tuttavia credo che, anche in questo caso, ci possa aiutare la distinzione tra il limite (naturale) e il confine (sempre arbitrario). Si parla del diritto a spostarsi; altri ribattono con il diritto a rimanere nel proprio paese… La terra è di tutti e tutti dovrebbero avere la possibilità di cercare un futuro migliore altrove rispetto al luogo di nascita. Ci sono però alcuni limiti per cui bisognerebbe avere un equa distribuzione dei popoli ai quattro angoli del pianeta, nel contesto di un equa distribuzione delle risorse. Che invece ci vogliamo accaparrare completamente, in nome di una ingordigia che travalica ogni armonioso sviluppo, ogni concordia tra gli uomini. E allora ecco erigere barriere. Ecco dominare l’incertezza. L’unico antidoto sta nella consapevolezza che la nostra identità (il limite che ci caratterizza) si tutela soltanto con un pacifico incontro con l’altro.

vitaTrentina

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