Dal vertice di Vilnius un’Europa sconvolta

Il presidente Usa Joe Biden incontra il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (Foto ANSA/SIR)

Il Vertice Nato a Vilnius dell’11 e 12 luglio è stato definito dai partecipanti come un incontro “storico”. In effetti si sono raggiunti risultati in gran parte inaspettati alla vigilia.
Il primo colpo di teatro è stato il giro di valzer della Turchia nel dare luce verde alla futura adesione della Svezia alla Nato, dopo più di un’anno di ripetuti rifiuti. Permesso accordato a fronte di un’accordo con Joe Biden sulla vendita dei caccia da combattimento F16 che Washington aveva in precedenza negato a causa della decisione di Recep Tayyip Erdogan di fornirsi di un sistema antimissile russo, un’ingiuria per un Paese membro della Nato.

In un solo colpo a Vilnius si è ottenuto quindi un riavvicinamento fra Turchia e Usa, accompagnato anche (e questa sì è stata una sorpresa) dalla richiesta del “sultano” di Ankara di riprendere i negoziati di adesione all’Ue interrotti da tempo immemorabile. Chissà mai se l’autocrate di Ankara manterrà nel tempo questi impegni, ma certamente a Vilnius si è vista una Turchia diversa e meno filo-Putin di qualche giorno fa. Ma alla fine il risultato più importante è stato certamente l’unanime e rinnovato sostegno alla lotta di Kyiv all’invasione russa.

Ormai nella Nato stanno cadendo le perplessità di fornire all’Ucraina gli armamenti più avanzati: non solo e non tanto le bombe a grappolo, ma soprattutto i micidiali F16 e i missili a lunga gittata allo scopo di colpire le retrovie russe nel Donbass che stanno bloccando la controffensiva di Kyiv. Si è riaffermata quindi la volontà dell’Occidente di continuare gli sforzi militari ed economici per rendere possibile la riconquista dei territori occupati dall’esercito di Mosca. Vale la pena ricordare che fino ad oggi gli USA hanno speso 47 miliardi di dollari in armamenti per Kyiv e 30 in aiuti economici. L’Ue per parte sua ha contribuito con altri 54,9 miliardi di Euro fra armi e sostegni di vario tipo. Ma questo sforzo alla sicurezza dell’Ucraina non è arrivato fino al punto di indicare una data precisa dell’adesione di Kyiv all’alleanza, come avrebbe fortemente desiderato Volodymyr Zelensky.

Nessuno, compreso Joe Biden (ne ha parlato martedì 18 luglio con l’inviato del Papa, card. Matteo Zuppi) vuole correre il rischio di un terzo conflitto mondiale con la Russia. L’entrata di Kyiv nella Nato potrà avvenire solo quando saranno ristabiliti confini certi e controllati dall’Ucraina. Di qui l’importanza della controffensiva di Kyiv nel Donbass. La riconquista di quella regione potrà poi essere giocata sull’eventuale tavolo negoziale, magari con la cessione a Mosca della Crimea a fronte di una stabile pace. Almeno questi sono i calcoli, neanche tanto nascosti, che stanno facendo gli occidentali, sempre che Kyiv sia d’accordo. Ma se anche questo fosse il futuro, bisogna riconoscere che dalla riunione di Vilnius è uscita l’immagine di un’Europa sconvolta rispetto alle prospettive di sicurezza che erano emerse alla fine della guerra fredda. Si era infatti sperato che la Russia potesse fare parte di uno spazio di sicurezza unico e integrato che si estendeva dall’Atlantico a Vladivostok. Nel lontano 1994 a Budapest si era anche stabilito assieme alla Russia che i confini degli Stati usciti dal dissolvimento dell’URSS sarebbero stati intoccabili. Per di più a tenere in piedi l’interesse comune alla sicurezza fra Usa e Russia vi erano i trattati sul controllo e la non-proliferazione nucleare. Addirittura agli inizi degli anni 2000 la Russia era diventata un importante alleato di Washington sulla lotta al terrorismo in Afghanistan e sugli sforzi di contenere le ambizioni nucleari di Iran e Corea del Nord. Tutto cambiava repentinamente nel 2007 con un discorso a Monaco di Vladimir Putin sull’inaccettabilità di un mondo unipolare guidato solo dagli Usa.

Con una mossa improvvida nell’aprile del 2008 la Nato a Bucarest proponeva in modo vago la prospettiva di adesione all’Alleanza di Ucraina e Georgia. Come risposta, all’inizio di agosto di quello stesso anno Putin mandava i propri carri armati ad annettersi le province del nord della Georgia. La Nato sotto shock rimetteva nel cassetto i progetti di allargamento ad Ucraina e Georgia. Ma ormai il sogno di un’unica sicurezza europea era morto, sotto i colpi del neo imperialismo di Putin e dell’ambiguità e incertezze della Nato. Oggi, a meno di miracoli improbabili, il destino ormai inevitabile dell’Europa sarà quello di erigere nuovamente una cortina di ferro impenetrabile fra Russia ed il resto del continente. Ed è ovvio che in questa drammatica prospettiva l’Ucraina non potrà altro che essere parte intera della Nato. Il contrario vorrebbe dire un conflitto congelato ai nuovi confini dell’Europa con la possibilità di riprendere lo scontro armato quando lo volesse Mosca. La pace “fredda”, purtroppo, passa per una nuova, inevitabile divisione dell’Europa. Di storico a Vilnius vi è stata solo la resa di fronte alla constatazione che la nostra sicurezza sarà in difesa dalla Russia e non con la Russia.

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