Davvero, tutto chiede salvezza

Dopo una notte tra alcol e droga e un violento attacco psicotico che ha rimosso dalla memoria, Daniele si risveglia nel reparto psichiatrico di un ospedale per un trattamento sanitario obbligatorio. Tutto chiede salvezza, serie televisiva disponibile da ottobre su Netflix, diretta da Francesco Bruni e tratta dal romanzo di Daniele Mencarelli, premio Strega Giovani 2020, è il racconto di quei sette giorni di ricovero, durante i quali Daniele, mentre riprende coscienza di quello che ha fatto, si trova come mai prima a guardarsi dentro, vivendo un’esperienza che lo cambia profondamente.

Ad accompagnarlo in questo cammino, i suoi compagni di stanza: Gianluca, omosessuale e bipolare, Mario, ex professore in cura da molti anni, Madonnina, di cui non si sa nulla, se non un soprannome che richiama la sua costante invocazione, Alessandro, in stato catatonico dopo un incidente sul lavoro, e Giorgio, un gigante buono rimasto solo al mondo. Un’umanità dolente che Daniele prima rifiuta e poi scopre come la cosa più simile alla sua vera natura che gli sia mai capitato di incontrare, a cui si affiancano gli infermieri e i medici del reparto, ognuno con la sua storia e il suo personale dolore da portare.

Rispetto al romanzo, basato su un’esperienza autobiografica dell’autore e ambientato nel 1994, la serie viene trasposta ai nostri giorni, modifica in alcuni tratti la linea narrativa e introduce la figura di Nina, ex compagna di scuola di Daniele, ora attrice emergente e protagonista del mondo social, ricoverata per un tentativo di suicidio.

Partendo da una rappresentazione realistica della malattia mentale, “Tutto chiede salvezza” racconta uno spaccato più ampio di umanità, a cui sarà Daniele a dare voce, provando a definire la sua malattia: la disperata ricerca di un senso della vita, la richiesta di una salvezza che deve passare dal coraggio di tuffarsi nella realtà rimanendo se stessi.

Un cast decisamente all’altezza e una solida sceneggiatura fanno arrivare allo spettatore la soffocante claustrofobia del ricovero, il desiderio profondo di luce e l’anima di ciascuno dei personaggi, facendolo commuovere e sorridere.

Un affresco corale che parla di famiglia, nel bene e nel male, delle difficoltà della sanità pubblica, della lacerante distanza tra vita reale e vita virtuale, ma anche di amore, di poesia, di una spiritualità solo accennata, che affonda le sue radici nell’autenticità delle relazioni interpersonali. E se rimane una certezza, è che possiamo salvarci solo insieme.

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