Dio. Mistero? Sì, di vita e di amore

Proverbi 8,22-31;

Romani 5,1-5;

Giovanni 16,12-15

Di ciò che non interessa è abbastanza normale essere incompetenti, o addirittura ignoranti e all’oscuro. È vero, si può vivere lo stesso – si dirà – ma è altrettanto vero che, quando si tratta di cose vitali, l’ignoranza è imperdonabile, se non addirittura dannosa. Quanti sanno di cos’è fatta l’aria che respirano o quanto è inquinata? Pochi, probabilmente, eppure tutti la respirano. Lo stesso vale per gli alimenti: sì, sappiamo pressappoco cosa mangiamo, ma quanti sono in grado di conoscere esattamente come sono fatti? (Qualcuno dirà: meglio non saperlo, perché altrimenti non mangiamo più…). Insomma, capita di essere ignoranti sia di cose secondarie, sia di altre che invece sono di vitale importanza.

Forse è anche per questo che è perfino normale essere ignoranti di Dio, non solo da parte di chi è ateo e non ci crede, ma anche da parte di noi credenti. Ignorare Dio è un po’ come ignorare di cos’è fatta l’aria che respiriamo, ma per fortuna la respiriamo lo stesso. Voglio dire: Dio continua a darci la vita egualmente, anche se noi ignoriamo che è proprio lui che ce la dona e forse ci scordiamo perfino di ringraziarlo. Il Padre nostro continua ad amarci senza mai venir meno, anche se noi – come figli – forse parliamo e dialoghiamo con tutti, tranne che con lui… Gesù Cristo ci cerca e ci salva in continuazione, anche se noi probabilmente siamo più propensi a perderci che a lasciarci trovare… E lo Spirito santo è la carica che ci fa stare in piedi, che ci fa essere generosi, creativi, disponibili, anche se noi riteniamo che tutto questo sia merito nostro…

Dio, d’altro canto, non se la prende con noi per questa nostra ignoranza: continua a essere quello che è, e a fare quello che fa, senza venir meno. Non è come quei tali che ogni minima cosa che fanno pretendono un riconoscimento, altrimenti non ci mettono mano. No, Dio è grande proprio perché non è così; noi, a questo mondo invece, più siamo così, più siamo piccoli, o meglio, piccini.

A parte comunque ogni ignoranza o competenza di Dio, la prossima domenica è la Festa sua: di lui che è Padre, Figlio e Spirito Santo. La santissima Trinità, si dice, ma non è che dopo averlo detto ne sappiamo molto di più. D’altronde, va riconosciuto onestamente: in un certo senso è naturale, è perfino logico essere ignoranti di Dio: non può che essere così. Perché se di Dio sapessimo tutto per filo e per segno, non sarebbe più Dio quello; sarebbe, che so io… una star dello spettacolo, o una montagna da scalare, o un’invenzione di laboratorio…

No, nessuno può dire di conoscere bene Dio, neanche i migliori teologi. In gran parte resterà sempre inesplorato, e quindi sorprendente: mistero, si dice, appunto. Solo a questa condizione Dio è Dio. Ma Mistero non è sinonimo di enigma impenetrabile; nell’esperienza cristiana (già dal tempo degli Apostoli) Mistero è ciò che supera ogni tentativo umano di esplorazione, ma che Dio stesso si compiace di svelare e far conoscere. Ed è accaduto con Gesù: chi meglio di lui, figlio, è esperto di Dio?

La voce che parla nella prima lettura di questa domenica è la sua. Si presenta come la Sapienza, ma in realtà è lui stesso. Ci dice, in sostanza: volete sapere chi è Dio? Cominciate a guardarvi attorno: il cosmo, la creazione, la natura… Non vi accorgete che tutto rimanda a un Dio che è armonia d’amore e di vita?

Nessuno può dire di essere esperto di Dio, dicevo poco fa, ma per quel poco che è possibile, è tutto di guadagnato per noi conoscerlo. E mi spiego. A volte i musulmani accusano i cristiani di politeismo (come dire che di un solo Dio ne avrebbero fatto tre), ma Gesù è venuto a dirci che Dio non è questione di numeri: uno, due, o tre… Dio è amore! Che si presenti a noi come Padre, come Salvatore, o come Spirito che dà la vita, vuol dire in fondo una cosa sola: che ci ama con tutto se stesso e in tutti i modi possibili che solo lui – Dio – può inventare. Ognuno di noi, del resto (donna o uomo che sia), reca in se stesso l’impronta di questo Dio Trinità: perché mai, infatti, le persone non sono affatto fotocopie l’una dell’altra, ma ognuna è irripetibile, tipica e unica? Perché Dio è Uno, e la sua unità si riflette in ciascuno di noi. E perché mai, pur essendo tipici, e quindi diversi uno dall’altro, solo nella relazione con gli altri possiamo realizzare noi stessi? Perché questo Dio unico, che ci ha fatti a sua immagine, è Trinità, cioè apertura, relazione, comunione. Pertanto, quando pensiamo a Dio – al nostro Dio – non lasciamoci disturbare dall’idea dei numeri, o da quella del mistero/enigma: no, lasciamoci guidare invece dalla “simpatia”. Trinità? Unico Dio in tre persone? Sì, certamente, ma questo sta a dire che Dio è comunità d’amore, non enigma solitario e chiuso in se stesso. Ad affidarsi a lui, non si muore di solitudine, e neanche di egoismo: si vive invece in pienezza, perché credere in Lui che ci ama, è amarlo a nostra volta. E questo è vivere veramente, perché è comunicare alla fonte stessa della vita. Siano quindi la simpatia e la soddisfazione ad animarci, ogni volta che ripetiamo il “nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”.

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