“Dove diavolo avete nascosto la vostra gioia?” (G.Bernanos)

I lettura: Sofonia 3,14-17;

II lettura: Filippesi 4,4-7;

Vangelo: Luca 3,10-18

«Tu ci hai amati per primo, o Dio. Noi parliamo di te come se ci avessi amato per primo una volta sola. Invece continuamente, di giorno in giorno, per la vita intera, tu ci ami per primo”. Era Kierkegaard, il celebre pensatore cristiano d’origine danese, a pregare così. E aveva ragione. Solo che noi non ne siamo molto convinti: o perché distratti, oppure perché abbiamo qualche preoccupazione che ci pesa sul cuore e pensiamo che, se fosse vero che Dio ci ama, verrebbe a risolverci tutti i problemi e a toglierci ogni preoccupazione…Ma come possiamo pretenderlo? Ha trovato così tanti ostacoli quando è venuto in mezzo a noi che è quanto meno fuori luogo una tale pretesa. Oh sì, potrebbe farlo se volesse: è onnipotente! Ma non è il mago dalla bacchetta magica; viene per stare con noi, per esserci vicino, perché possiamo affrontare tutto quello che c’è da affrontare in sua compagnia. Di chi risolve tutti i problemi si potrà dire che è geniale, avveduto, esperto… ma di chi mi sta vicino e non mi abbandona mai, mi sopporta, mi capisce, mi perdona e mi fa coraggio, eh non c’è alcun dubbio: di lui posso dire che mi ama davvero.

“Rallegrati, figlia di Sion, grida di gioia… perché il Signore tuo Dio è in mezzo a te!”. Era il profeta Sofonia (prima lettura) a parlare così; si rivolgeva a un popolo che ne aveva subite di cotte e di crude e rischiava di perdere la fiducia e la speranza nel suo futuro. “Sì, è vero, ma il Signore non ti ha mai abbandonato – figlia di Sion -, anzi, sappilo per certo: è in mezzo a te. Rallegrati quindi. Ed esulta”. Se noi cristiani fossimo davvero convinti che il Signore ci è sempre vicino, dovremmo sembrare un po’ matti a chi ci vede: e perché mai? Se anche nelle circostanze più difficili e nei momenti più faticosi ci portiamo in cuore un po’ di gioia e la lasciamo trasparire, chi ci guarda non può che domandarsi: com’è possibile essere sereni, sorridere, in situazioni del genere? No, non siamo matti, è la certezza del Signore vicino a permetterci di mantenere la serenità.

Ce lo conferma la raccomandazione di san Paolo ai cristiani di Filippi (seconda lettura): “Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. Il Signore è vicino!”. Pare lo scrivesse dal carcere (che di per sé non è il luogo più propizio per parlare di gioia). E non lo scriveva due settimane prima di Natale (allora non lo si festeggiava ancora); lo raccomandava come atteggiamento abituale di vita. “Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. Il Signore è vicino!”.

Noi invece (e non di rado proprio in questo periodo) parliamo una lingua diversa: quella delle lamentele. “Oh, ma con tutte le brutte cose che accadono… con questa preoccupazione che abbiamo in casa… e se poi manca questo, quello e quell’altro ancora… che Natale potrà mai essere quello che viene?”.

Sì, siamo decisamente fuori fase. Parliamo tutt’altra lingua.

Ma sappiamo noi cos’è la gioia? Non la baraonda o l’euforia per le quali bisogna carburarsi o stordirsi…e poi, quando la carica è finita, si è lì come palloni sgonfiati. No, la gioia! Quella che si prova non solo quando termina il lavoro o la scuola, e iniziano le vacanze o le ferie, ma che ci accompagna anche quando le vacanze o il fine settimana sono passati, e la vita riprende il suo tran tran abituale!

Questa gioia viene dal Signore, non c’è alcun dubbio. Cosa si dovrà escogitare per gustarla? Accorgersi, finalmente, che il Signore nel quale diciamo di credere ci è vicino, da sempre. S. Agostino, molti anni fa’, insegnava che “per un cristiano, la gioia è un dovere!”. Madre Teresa di Calcutta, più vicina a noi, soleva ripetere: “La nostra gioia è il modo migliore di predicare il cristianesimo!”. Quando c’è gioia, infatti, c’è anche solidarietà. Allora ci si ritrova capaci di condividere quello che si ha, anziché lamentarsi per ciò che non si ha. Non per niente, proprio in questa Domenica, Giovanni Battista esorta: “Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha e chi ha da mangiare faccia altrettanto…”. E c’è giustizia, quando c’è la gioia: amore e passione per la giustizia. Che è anzitutto impegno a fare bene il proprio mestiere: con onestà, nel rispetto delle regole e delle leggi. Troppo sovente la passione scatta nel rivendicare diritti, nel pretendere, nel protestare, mentre dorme o sonnecchia nell’assolvere ai propri doveri. No, la giustizia, e quindi la gioia, si combina bene con una vita onesta e leale, umile e paziente. Chi conosce solo l’arte del pretendere, chi è arrogante o prepotente, non conosce la gioia; cercherà di costruirsela da solo, con i suoi metodi, ma non ci riuscirà. Potrà pure ingozzarsi di evasioni e di esperienze d’ogni genere, ma non saprà mai cos’è la gioia: manca di umanità, è schiavo di troppe cose.

La gioia viene solo dalla certezza che il Signore è vicino: perché ci ama. Oh, non che si debbano fare sorrisi da un orecchio all’altro per esprimerla…ma quella certezza nell’intimo, che nemmeno le prove più dure possono oscurare, ah questa sì che la si può condividere. E allora, coraggio: non tolleriamo che il gelo invernale raffreddi anche la nostra fede. Coltiviamo quella certezza. E sarà davvero la gioia.

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