Durezza? No, chiarezza

Sapienza 9,13-18; Filemone 9b-10.12-17; Luca 14,25-33

Il populismo è quella brutta mania che prende certi personaggi della politica o della cultura: amano avere folle che li ascoltano, li applaudono, vanno in visibilio per loro. Ovviamente per ottenere tale risultato, quando parlano dicono ciò che alle folle fa piacere: fossero anche menzogne, falsità, non importa. Beh, non possiamo certo dire che Gesù Cristo sia un populista, anzi, è esattamente l’opposto. Siccome  “una folla numerosa andava con lui, Gesù si voltò e disse: Ma dove andate? sapete dove porta la mia strada? siete disposti a rinunciare a tutto, a prendervi su la croce, e magari anche  a morirci sopra?”. No, non è un populista Gesù Cristo. Non gli interessano gli applausi delle piazze, le  folle strabocchevoli al suo passaggio. La sua attenzione è per le persone, per ogni singolo individuo; dirgli non quello che gli fa piacere, ma quello che Dio gli vuol far sapere, perchè solo questo è il suo vero bene. A volte quella parola che viene da Dio dà gioia, consolazione; altre volte invece è dura, un boccone amaro da inghiottire: ma forse che tutte le medicine sono dolci o appetitose? In questa Domenica la parola di Gesù suona davvero dura, una medicina amara da mandar giù. “Se uno viene  a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo”. (La nuova traduzione italiana ne ha ammorbidito la durezza, ma il testo evangelico originale dice esattamente: “Se uno viene a me e non odia suo padre…”). Ma Gesù Cristo non ha sempre insegnato ad amare? Anzi, non ha perfino dato la sua vita per amore? Oggi, invece, dice che bisogna odiare: i propri cari, e perfino se stessi! Ma siamo matti? Ha forse cambiato bandiera? No, affatto, ma se usa un tale linguaggio, vuol dire che la lezione è così importante che capirla o non capirla è questione di salvezza o di perdizione. E allora vediamo di capirla. Forse che ci chiede per davvero di odiare le persone care, perfino la nostra? Non può essere: son proprio le persone che lui è venuto a salvare. Ma vuole evitarci un rischio, un pericolo: quello di mettere le persone più care sullo stesso piano di Dio, o addirittura sopra; il rischio di amare anche noi stessi più di Lui. Ma che pericolo ci può essere ad amare tuo figlio, tua moglie, tuo marito, più di Dio o come Dio? Non può essere per Dio una questione di prestigio, di protagonismo: Lui – e Gesù, che è suo Figlio – non ci tiene affatto a star sopra tutto e tutti… per la semplice soddisfazione di essere riverito, ascoltato, adorato e via discorrendo. No, sarebbe un povero Dio se avesse di queste pretese. E’ per noi, è tutto a nostro vantaggio riconoscergli quel primato; sono le nostre relazioni con gli altri a risentirne (tutte, a cominciare da quelle con i nostri cari):  se non hanno al centro Dio, si deteriorano e decadono a relazioni sbagliate, malate. Perché mai? Per la nostra inveterata tendenza a trasformare ciò che è dono in possesso, cioè a diventare padroni, proprietari, anche delle persone più care. E’ questo che riduce l’ambito delle nostre relazioni a un guscio chiuso dove a un certo punto manca l’aria. L’amore vero invece è questione di spazio interiore, cioè di fare spazio all’altro: l’amore è povertà interiore che accoglie l’altro come dono ogni mattina. Il possesso invece, il ritenerci proprietari, è cosa che riempie, ma nel senso che ingorga, ottura, ci chiude in noi stessi… e allora: addio alle relazioni autentiche e mature. Ecco perché Gesù dice: “No, se volete venire dietro a me, prima Dio, e dopo gli altri e tutto il resto”. Quando Dio ha davvero il primo posto nella nostra vita, allora siamo liberi: e di amare e di lasciarci amare, senza secondo fini e senza paure. Mettere al centro dei nostri affetti e dei nostri interessi l’amore per il Signore, la relazione con Gesù Cristo,  è il segreto per provare la gioia, la soddisfazione dell’essere cristiani capaci di relazioni autentiche, mature e umane nel pieno senso della parola. E quello che vale per le persone – che vengono dopo Dio – vale a maggior ragione per le cose, per gli interessi, per i beni e per tutto il resto. Amare prima di tutto Dio, il Signore, è l’antidoto per non cadere nei tentacoli del possesso, dell’ingordigia, che abbrutisce invece che arricchirci d’umanità. Quanto a quella croce che oggi Gesù ci invita a prender su ogni giorno, sia chiaro: non è anzitutto la sofferenza, la malattia, o l’accidente che ci può capitare addosso quando meno ce l’aspettiamo! No, la croce è il prezzo da pagare ogni giorno se si vuol restare fedeli al vangelo, coerenti con la fede che si ha nel cuore, amanti fiduciosi di Dio anche nelle situazioni di contraddizione, di ostilità, di ingiustizia, di prova…Proprio come lo è stato Gesù. Insomma, durezza sì: c’è durezza nelle parole del Signore in questa Domenica. Ma è la durezza del medico, che è nient’altro che chiarezza. E poi, non dimentichiamo che, nonostante questa dura chiarezza, Gesù è pur sempre il nostro Salvatore capace di comprensione e di pazienza oltre ogni nostra immaginazione. Non è il maestro intransigente che indica la strada e dice: “Andate!”. No, è il compagno di viaggio che va davanti: se barcolliamo ci sorregge, se cadiamo ci rialza. Certo, son cose queste che  non si capiscono tanto con il cervello, quanto con il cuore. Ecco perché nella prima lettura si prega: “Chi mai può conoscere il tuo pensiero, Signore, se tu non gli concedi la sapienza?”. .

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