Elia, le spine di un sogno

«Se ci fosse bisogno di una formula per definirlo, allora diremmo che Il sogno di Francesco è un’avventura sentimentale e politica e queste due cose ne fanno una sola…» i registi Arnaud Louvet e Renaud Fély, nell'intervista del pressbook cinematografico, centrano la natura di questa nuova rimessa sullo schermo del santo di Assisi, arrivata nelle sale italiane all'indomani della festa del 4 ottobre. Così come lo fa il titolo originale "L'ami – François d'Assisi et ses frères" (L'amico – Francesco d'Assisi e i suoi fratelli) rispetto a quello italiano. Il cuore drammatico e tematico del racconto, infatti, è lo scontro tra l'ideale evangelico e la realtà, la sua possibile incarnazione dentro un movimento che possa tramandarsi di fratello in fratello attraverso le generazioni. E l'angolo prospettico di questo dramma è appunto quello dell'”amico-traditore” Elia da Cortona, che spinge, forza e si dibatte disperatamente, per "addolcire" la Regola in modo da renderla accettabile alla gerarchia vaticana. Sentimentale, perché riguarda in primis la lacerazione del cuore di Elia, che perseguendo la sua mediazione si troverà separato dall'amico, e poi anche dai fratelli (e forse da Dio), solo in una notte che è simile a quella che guardava con Francesco, ma le stelle sono meno brillanti, incerte e lontane. In secondo luogo perché lo spettatore in fondo si ritrova nella ricerca di un compromesso ragionevole e patisce con lui contraddizione e separazione. Politico, perché la richiesta di riformulare la Regola in modo da attenuare la radicalità evangelica, viene imputata tutta alla Chiesa, ancora ad Innocenzo III (l'approvazione orale del 1209 viene letta in negativo come un rigetto della Regola, che di fatto non viene "bollata"), mentre i fratelli sembrano difendere il sogno di Francesco in modo ancora coeso. E politiche sono le sottolineature romanzate (il personaggio di frate Domenico a cui viene dedicato un capitolo del film) così come le espunzioni dal testo della Regola, che restituiscono l'attualità del personaggio e l'urgenza che ha mosso i registi d'oltralpe: un Francesco per il tempo in cui un Francesco siede sul Soglio e cerca di riportare la Barca di Pietro nel solco originario.

Cinematograficamente il film è bello, intenso, perfino commovente. Fely e Louvet ripartono da Rossellini (Francesco giullare di Dio, 1950), mantenendo la ripartizione in capitoli, la natura infantile e giocosa di Francesco, il suo voler essere "frate minore" tra frati minori, non capo della fraternità, e l'ambientazione naturale, che viene amplificata e colorata pur restando prevalentemente ferrigna e fredda, riscaldata dal fuoco di bivacchi e torce. Una natura boschiva e montana che si contrappone alla città, come alla corte papale o al castello del cardinal Ugolino, abitata dai frati in bivacchi di frasche o dagli accampamenti dei più poveri. Ad essa è affidato il respiro di Dio, che la attraversa e si partecipa ai personaggi fragili e miseri, ma grandi e intensi per l'uso sapiente della luce, dell'angolazione e dei primi piani. Al posto dei Fioretti ci sono le spine del quotidiano che arrivano, per frammenti, alle Stimmate e alla morte del Santo e si proiettano verso noi nell'isolamento notturno di Elia che condensa la sorte futura sua e dell'ordine.

Intenso e sorprendente il frate Elia di Jérémie Renier (siamo abituati a vederlo in tutt'altri ruoli nei film dei fratelli Dardenne), vibrante e autentico il Francesco di Elio Germano e bella nella sua ruvidezza la Chiara di Alba Rohrwacher.

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