Gran finale di misericordia

Isaia 50,4-7;

Filippesi 2,6-11;

Luca 22,14 – 23,46

Forse nessun evento del vangelo rende tangibile la Misericordia quanto la Passione di Gesù, specie se considerata nella narrazione di Luca, considerata proprio in questa chiave di lettura.

"Padre", cosi inizia la sua preghiera all’orto degli ulivi (22,42), e ciò rende evidente che è al cuore stesso di Dio che si deve fare appello, soprattutto quando gli eventi stridono con la nostra capacità a comprenderli e contrastano con la nostra debolezza. Ci chiediamo: ha ascoltato Dio quella preghiera? Si, infatti Gesù esce rinvigorito da quell’ora di lotta e non vi sarà alcun segno di debolezza in tutto il dramma che seguirà: soltanto equilibrio, misericordia e padronanza della situazione. Traspare dal suo atteggiamento verso i discepoli anzitutto: non solo Gesù non li rimprovera per non aver saputo vegliare con lui, ma Luca afferma che il loro sonno è scusabile perchè è dovuto alla tristezza. Soprattutto (ed è un particolare interessante), l’evangelista passa sotto silenzio la loro fuga: non che non sia avvenuta, ma Gesù si era limitato ad affermare: “Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano…” (22,31); era come dire: “gli eventi sono più grandi di voi, e voi siete fragili: non mi meraviglio, anzi, vi comprendo”.

Dopo il rinnegamento da parte di Simon Pietro, Luca è l’unico ad affermare che “il Signore si voltò e posò lo sguardo su Pietro” (22,61). Un particolare che non interrompe nemmeno la successione degli eventi (nessun altro se ne accorge, infatti), ma è come se tutto il resto non esistesse: il Signore si volta, guarda Pietro, e Pietro si ricorda di ciò che Gesù gli aveva preannunciato… Qui, ovviamente, è la Chiesa di sempre, raggiunta da questo sguardo di misericordia che provoca ravvedimento. Perché è perfino normale il venir meno, è umano il peccare: ma è grazia e consolazione sapere che in quei momenti il Signore si volta e guarda con comprensione: uno sguardo eloquente, forte e sofferente insieme, che se evoca al discepolo tutto il peso della sua incoerenza, nondimeno lo accoglie e lo provoca così a ravvedersi (“Quando ti sarai ravveduto – gli aveva detto Gesù alla Cena – conferma i tuoi fratelli!”). Il Signore vedeva oltre, aldilà della debolezza di Pietro. Vede sempre oltre il Signore. E’ a quel punto che Pietro, uscito, pianse: amaramente sì, ma non da disperato.

Nella salita al Calvario, poi, Gesù sembra addirittura guidare una processione: una grande moltitudine di popolo e di donne che non partecipa agli scherni, agli insulti, e alla fine di tutto se ne ritorna battendosi il petto (23,27.48). Una processione di discepoli, e di possibili discepoli: qualcuno porta la croce, qualcuno piange, qualcun’altro esprime la sua fede pur in una situazione disastrosa: c'è posto per tutti in questa processione. Chi altri poi, se non Luca, poteva descriverci l'incontro con le donne di Gerusalemme? E’ ancora la compassione a fermare Gesù: a coloro che ritenevano giusto compassionare lui, fa capire che più bisognosa di compassione è tutta Gerusalemme. Gesù ne prevede la futura catastrofe, e ne prova amarezza: “Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli”(23,28).

Al Calvario, gli atteggiamenti di compassione e di misericordia sono ancora più sorprendenti se si considera la situazione personale di Gesù, che è di estrema sofferenza e di totale impotenza: egli è il Crocifisso. Si direbbe che la sua lotta orante al Getsemani l'ha reso forte al punto che quei tratti di equilibrio, di mitezza e di misericordia che caratterizzarono i giorni del suo ministero, qui eccellono come in un gran finale. E Luca (il “pittore”) li sa raffigurare molto bene. La preghiera (di cui Luca ama parlare spesso), apre e chiude l'agonia del crocifisso: “Padre, perdona loro perchè non sanno quello che fanno”(23,34). Non è tanto una dichiarazione di innocenza verso i suoi crocifissori, quanto piuttosto una scusante che aprirà loro una possibilità di salvezza. Se "non sanno quello che fanno" è perché, secondo l’evangelista, il mistero della Passione e della Croce rimane incomprensibile perfino ai discepoli; tanto più, quindi, a quelli che discepoli non sono. Negli Atti degli Apostoli sarà Pietro a riconoscerlo ai cittadini di Gerusalemme: “lo lo so, fratelli, che voi avete agito per ignoranza”(4,17). Gesù che molte volte aveva esortato a perdonare, non poteva non darne l’esempio proprio in quest’ora del Golgota. E non si tratta solo di grandezza d’animo o di eroismo da parte di lui morente: egli è a conoscenza della bontà e della misericordia del Padre, e ora sa che non vi è cattedra migliore che la croce per proclamarlo. Infatti, proprio a quella misericordia fa appello, non per nulla è ancora questo appellativo che affiora sulle sue labbra: Padre! (23,34). L’accoglienza del criminale che, crocifisso accanto a lui, gli si consegna con un estremo atto di affidamento ("Gesù, ricordati di me quando verrai nel tuo regno"), sprigiona – si direbbe – le ultime battute di questo “gran finale della misericordia”: “In verità ti dico: oggi sarai con me nel paradiso.” (23,43). Sì, dev’essere davvero smisurata la misericordia di Dio se perfino negli ultimi istanti del suo agonizzare sa farsi accoglienza, incondizionata e – come sempre – scandalosa: quel criminale che s’affida a lui, non dimentichiamolo, è il primo cittadino del paradiso.

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