I camini accesi di via Brennero

1978. In via Brennero la Ferriera Oet Officine Elettrochimiche trentine. Foto © Gianni Zotta
Le dense colonne di fumo che si alzavano dai camini delle fabbriche, lungo via Brennero, fra Trento e Gardolo, cessarono con le lettere di licenziamento inviate, nell’estate del 1990, a una settantina di operai ancora rimasti in quella che i Trentini chiamavano “la Ferriera”. Le “Officine Elettrochimiche trentine”, erano state avviate nel 1929, in pieno periodo fascista, nella zona del “Magnete”, dirimpetto a quello che oggi è il Top Center. Vi si producevano il ferrosilicio e il siliciuro di calcio, impiegati successivamente nelle fonderie. La “Ferriera” dava lavoro a più di cento operai (si arrivò a 150 buste paga), così come la vicina SLOI, fabbrica di piombo tetraetile, avviata nel 1939 e che occupava 120 persone. L’una e l’altra furono chiuse in seguito alle polemiche sollevate da più parti sui gravi danni da inquinamento causati dalla combustione. L’una e l’altra, inoltre, furono interessate da vasti incendi che misero a nudo la fragilità delle strutture e il pericolo per la comunità trentina.

Le OET (“Ferriera”) chiusero nel 1990. Già quattro anni prima un incendio aveva compromesso il sistema dei filtri di abbattimento dei fumi. La SLOI era stata chiusa con un decreto d’urgenza del sindaco di Trento, Giorgio Tononi (1932-2013), in seguito all’incendio che la notte del 14 luglio 1978 aveva devastato la fabbrica. In quelle drammatiche ore si era persino pensato di evacuare l’intera popolazione di Trento per il pericolo di intossicazione. I Trentini furono… salvati, è il caso di dirlo, dall’ing. Nicola Salvati, allora comandante dei vigili del fuoco permanenti di Trento. Requisiti due autotreni carichi di 540 quintali di cemento, aveva “bombardato” con quello le fiamme. L’uso dell’acqua, infatti, avrebbe causato ulteriori danni, come si era avuto modo di costatare la notte fra il 4 e 5 novembre 1966 quando le acque dell’Adige, rotti gli argini a Roncafort, avevano sommerso anche la fabbrica. I bidoni di sodio, usati per le lavorazioni, a contatto con l’acqua erano esplosi, causando incendi a catena.

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