Il “credo” di Simone Cristicchi al Festival “Orme”

Cristicchi con il Corpo Bandistico di Albiano – foto Alex Mottes

Miracolosa sceneggiatura o incredibile fortuna? Ci ha pensato il cielo a suggellare con plastica pennellata l’esibizione di Simone Cristicchi e del Corpo Bandistico di Albiano a Fai della Paganella, nella fresca serata di giovedì 15 settembre. Gli organizzatori del Festival “Orme” osano la location all’aperto e vengono premiati: la pioggia fa capolino ma non nuoce più di tanto, anzi sul finale lascia spazio al sereno. Tanto che anche al cantautore romano, giustamente timoroso con l’orizzonte plumbeo, non par vero di parlare di stelle (e di trascendenza) potendo indicare la spettacolare volta celeste che all’improvviso si staglia sulle mille teste in ascolto e in visione sull’altopiano. Detto, fatto, insomma.

Anche il meteo sembra attestare qualcosa di non definibile, un “oltre” lontano da facili teorie e presuntuose teologie. E che tuttalpiù potremmo provare a indagare, interpellando frammenti di creato. Nasce così il progetto artistico (e titolo dello spettacolo) “Lo chiederemo agli alberi” che segna il connubio tra Cristicchi e il lodevole Corpo musicale di Albiano – ben più di una “normale” banda –, maturato all’ombra delle Dolomiti più di un anno fa e già presentato nell’autunno scorso, con ottimi riscontri, al pubblico dell’auditorium S. Chiara.

Pare che il Trentino, al di là degli slogan pubblicitari, esalti il respiro artistico di Cristicchi. E lo renda ancora più unico nel panorama cantautorale e teatrale italiano, confermandone le doti di “rottura” emerse quindici anni fa in “Ti regalerò una rosa”, con cui sbancò Sanremo 2007 raccontando lo stigma attorno alla malattia mentale. Brano che non manca nella carrellata alle pendici della Paganella, insieme ad un altro cavallo di battaglia impastato di denuncia civile, quel “Magazzino 18” che rispolvera dagli archivi il dramma degli italiani esodati dall’Istria dopo il ’47.

Trentino vuol dire alberi, non ci piove. Per Cristicchi sono loro “immobili fra temporali e fulmini, invincibili” – Vaia in verità un po’ di insicurezza sembra averla instillata pure in loro – ad offrirci qualche risposta: “le radici sono qui ma i loro rami danzano all’unisono verso il cielo”; così come le “umili” allodole, dal sapore francescano, capaci di “vivere con due briciole, forse poco più”. Tutto per arrivare ad accorgersi – al culmine di “Lo chiederemo agli alberi” (tratto dalla raccolta “Abbi cura di me”, titolo del pezzo presentato a Sanremo 2019 e riproposto a Fai, autentico inno alla fraternità) – ”di essere parte dell’immenso, di un disegno molto più grande della realtà”.

Se agli alberi spetta l’ardua “sentenza“, all’uomo che resta? Cristicchi non sembra aver dubbi e lo esprime con un “credo” laico (che poi tanto laico non pare, visto il concentrato di spiritualità evangelica) recitato alla chitarra, subito prima del “ricorso” alla Natura: “Credo – declama – nell’amore sprecato, buttato via, in chi sa donarsi agli altri senza chiedere niente in cambio e che la parola ‘amore’, se la scomponi – ‘a’ come alfa privativo e ‘mors’, morte – significa: ‘voglio che tu non muoia mai’”.

Cristicchi evoca senza citarli grandi testimoni (da Baden Powell a don Beppino Diana) quando ricorda che alla fine della vita “non ci chiederanno quante case abbiamo comperato o quanti soldi guadagnato”, ma “quanta bellezza e quanto amore c’è in più dopo il tuo passaggio su questa terra”. Bellezza – racconta la poesia musicale del “cantattore” nell’interpretazione creativa dei bravi maestri cembrani, abilmente diretti da Giovanni Bruni – è il “mistero in cui tutti ci sentiamo immersi”. Bellezza è il “miracolo di questa vita che va avanti nonostante tutto, non si ferma e si trasforma ogni secondo”. “E tutto quello che non sappiamo e non capiremo mai, tutto il resto – chiosa Simone – lo chiederemo agli alberi”. E forse al cielo, nuvole permettendo.

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