Il Festival esalta il documentario d’autore

“L’ors”, la docufiction di Alessandro Abba Legnazzi

Un uomo mascherato da orso che apre una sua pagina Facebook e si fa intervistare via cellulare dai giornalisti. Un’immagine, efficace, che simboleggia la ricerca di un dialogo, tratta da “L’ors”, docufiction del bresciano Alessandro Abba Legnazzi in replica giovedì 4 maggio al cinema Modena (ore 15) alla 71a edizione del Trento Film Festival. È quanto di più originale il Festival, che sabato 6 assegnerà le Genziane ai migliori film in concorso, ha proposto finora. Una “proiezione speciale”, “L’ors”, costruito su quanto avvenuto una decina d’anni fa in val Poschiavo, nel Canton Grigioni, in Svizzera, dove arrivò M13 che iniziò, prima di essere abbattuto, a predare pecore e asini lacerando la comunità locale. La docu-fiction è interpretata, per la maggior parte dei ruoli, dagli stessi abitanti del paese, che sembrano attori nati. Tratteggia uno spaccato più che mai attuale visto ciò che sta avvenendo in Trentino dopo la morte, ad opera di un’orsa, nei boschi di Caldes, in val di Sole, di Andrea Papi. Con le polemiche, non ancora sopite, tra chi vuol far fuori Jj4 e chi, invece, dopo che il plantigrado è stato catturato e rinchiuso al Casteller, ritiene che vadano applicate soluzioni meno drastiche.

“Lupo uno”, doc del fotografo naturalista Ivan Mazzon e del biologo Bruno Boz, racconta invece di un progetto di gestione di un branco di lupi promosso dalla Regione Veneto sul monte Grappa. Alcuni ricercatori dell’Università di Sassari, attraverso strumenti tecnologici quali la telemetria, seguono abitudini e
percorsi della “famiglia” cercando soluzioni per fare in modo che eviti di predare le pecore al pascolo. Dimostrando che ci si può riuscire, o perlomeno provare, sperimentando nuovi strumenti. Un esempio che potrebbe essere introdotto anche in Trentino, se solo lo si volesse. Tra i film in concorso, “The fire within: a requiem for Katia and Maurice Krafft” del tedesco Werner Herzog è improbabile non vinca un premio, salvo smentite. Il regista di alcuni tra i più importanti film del nuovo cinema tedesco tra anni Settanta e Ottanta (“L’enigma di Kaspar Hauser”, “Fitzcarraldo”), che ormai da anni si dedica al documentario, compone il film attraverso l’uso di materiali d’archivio. Sono quelli della coppia di vulcanologi francese, i Krafft, che morì nel 1991 travolta dallo scoppio del vulcano giapponese Unzen.

Già lo scorso anno al festival venne presentato un analogo doc, spettacolare ed emozionale, con gli stessi materiali, che vinse il premio del pubblico. Il film
proposto da Herzog risulta invece un’opera d’autore, firmata, quasi avesse girato lui stesso le immagini, o almeno avesse voluto, come per altro dichiarato.
A sfatare miti ormai consunti ci pensa “Let the river flow” di Ole Giaever (nella sezione Anteprime), lungometraggio a soggetto sulla discriminazione del popolo Sami. Contravvenendo alla nomea progressista e aperta solitamente affibbiata ai Paesi nordici, in questo caso la Norvegia, una buona parte del suo popolo è di un razzismo che neanche negli Stati Uniti degli anni Cinquanta.

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