Il povero Cristo: eccolo il nostro Re

I lettura: Daniele 7,13-14;

II lettura: Apocalisse 1,5-8;

Vangelo: Giovanni 18,33b-37

Cristo è il nostro Re, anzi, “Re e Signore dell’universo” più esattamente. Ma che senso ha dire, credere, cantare che “Cristo è il re dell’universo”? Re, regine e regni, oggi non esistono quasi più. A regnare in quest’epoca sono le democrazie, e là dove non ci sono ancora, si cerca in tutti i modi di farle arrivare. Democrazia vuol dire che il potere, il governo, è del popolo, cioè di tutti. Ma è davvero così? Abbiamo la prova che a decidere in tutte le cose importanti che ci riguardano siamo proprio noi? Che nell’orientare l’economia, nel fare le leggi, nel promuovere la cultura, siamo realmente coinvolti e partecipi? Qualcuno, piuttosto diffidente al riguardo, si è espresso così: “La democrazia è una finzione, uno slogan, il vero ri­spetto di tutti è questione di comportamenti, di condotta, non di sistemi di gover­no, non di piani di partito che sono sempre all’insegna del potere e dunque del più forte. Basterebbe a soste­nerlo il fatto che il tempo ha inventato la «tirannia democratica»: vecchi autoritarismi assoluti rivestiti di vo­lontà del popolo, condotta da mezzi di convincimento e di suggestione. Quante volte si crede di aver fatto una scelta tra più opzioni, men­tre si è seguita un’imposizione colorata di democrazia. Si va imponendo nel mondo la voglia di potere, piccolo o grande, e si diffonde come una epidemia, per cui ognuno ha una carica e dunque la possibilità di dare privilegi e di ricevere onori. Un sistema per cui lo stupido al potere si attor­nierà di stupidi almeno quanto lui e così un’intera ge­stione della cosa pubblica diventa inutile se non addirit­tura pericolosa” (V.Andreoli. L’uomo di vetro).

Che c’è di strano allora se noi cristiani ci ostiniamo a credere che il nostro Re, il nostro unico Signore, è il Cristo inchiodato alla croce? Qui si ha proprio l’esatto contrario del potere: chi più impotente di uno inchiodato a una croce? Non dimentichiamo, però, che non è finito lì per caso, o perché gli è andato tutto storto… E’ finito lì perché ha accettato lui stesso una tale sorte. Infatti, chiunque vuol essere Re e Signore, ha due sole alternative: o servirsi del potere a suo vantaggio (e allora dissangua e crocifigge gli altri), o fare del suo potere un’opportunità di servizio: in tal caso metterà in preventivo che potrà accadere a lui di lasciarsi crocifiggere dagli altri.

Gesù ha scelto liberamente questa seconda alternativa. Ecco perché può dire: “Il mio regno non è di questo mondo”. “Dunque tu sei re?” gli chiede Pilato. “Sì – risponde – ma il mio regno non è di quaggiù”.

Ah, certo, questo non significa che sia fuori dal mondo, o tra le nuvole. Gesù vuol dire esattamente: “Io non sono come i potenti di questa terra; il mio regno, il mio potere, non lo esercito come fanno loro: non sono qui per mettervi sotto i miei piedi. No, mi metto io ai vostri piedi: per servirvi”. Ecco perché il suo regno non è di questo mondo.

Si dirà che uno così non può che fare una brutta fine: Cristo (cioè il Messia) si ritrova ad essere … un “povero Cristo”. Ma non è affatto così: Giovanni, l’autore dell’Apocalisse, l’ha contemplato vincitore, risorto e vivo per sempre. E nella seconda lettura ce lo presenta con queste parole: “E’ il sovrano di tutti i potenti della terra… è colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue…”. Non ci sono a questo mondo padroni e potenti dei quali si possa dire che ci amano a prezzo del loro sangue. Non ce ne sono mai stati.

La nostra Chiesa diocesana, come ogni anno in questa domenica, celebra la Giornata per il Seminario. E’ superfluo richiamare un dato ormai ben noto: la scarsità di vocazioni; come sarebbe riduttivo addossarne la colpa ai “giovani che non rispondono più come una volta…”. Più saggio forse è constatare che è il clima generale che si respira a fare problema: “la voglia di potere che si diffonde come un’epidemia anche tra noi”, l’ambizione di realizzarsi a qualsiasi costo, la smania esasperata per la propria affermazione personale…Quale fascino può avere, in tale contesto, uno che afferma “il mio regno non è di questo mondo”?

E d’altra parte, quale futuro potrà avere questo mondo, se a dominare è solo la voglia di potere, piccolo o grande, con tutto quello che trascina con sé? A questo proposito merita un accenno la visione del profeta Daniele (prima lettura). Si tratta di un veggente che guarda e vede quello che gli altri non vedono. Racconta (in precedenza) che il potere nella storia del mondo è esercitato da belve feroci, che si susseguono una dopo l’altra come sulla scena di un teatro: la prima è simile a un leone, la seconda a un orso, la terza a un leopardo, la quarta è tanto terrificante che non ha paragoni: tutte indistintamente sanguinarie che stritolano e divorano. Poi, finalmente, compare una figura “umana”: “uno simile a un figlio d’uomo; tutti i popoli, nazioni e lingue lo serviranno”.

Non è un Regno che si impone con la forza quello di Cristo. Ma è grazie a lui, per lui, che il mondo ha probabilità di avere un futuro finalmente umano. E allora tocca a noi, suoi discepoli, invertire la rotta e seguirlo come unico Signore, con un’adesione non formale o di facciata, ma profonda, appassionata e vitale..

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