Il vescovo di Bolzano Muser: “Ora un cambiamento di prospettiva”

Devozione

“Probabilmente c’è una parola che tutti non vogliamo più sentire: coronavirus. In queste settimane e mesi la vita sociale, culturale, economica, scolastica, musicale, sportiva e pubblica è stata molto limitata. Annullato, non possibile, non ha luogo, chiuso, rinviato: è il tenore di molte informazioni o colloqui di questi tempi. Anche la vita ecclesiale e pastorale ne è molto colpita. Dal 9 marzo le sante messe non possono più essere celebrate con il concorso di popolo, riunioni e pianificazioni sono ridotte al minimo. Abbiamo dovuto celebrare la Pasqua, il culmine dell’anno liturgico, in una maniera inedita. Le celebrazioni della prima comunione sono state rinviate, tanti matrimoni sono stati posticipati. Per molte persone è particolarmente doloroso e gravoso affrontare le nuove modalità di celebrazione dei funerali in queste settimane”.

È lo scenario dipinto dal vescovo di Bolzano-Bressanone, mons. Ivo Muser, nella lettera pubblicata in occasione della festa dei patroni diocesani Cassiano e Vigilio, dal momento che anche la processione di San Cassiano, che dal 1703 si snoda lungo le strade di Bressanone, ha dovuto essere annullata. “Era accaduto – annota il vescovo – l’ultima volta 75 anni fa, nel 1945, alla fine della guerra”.

Mons. Muser fa riferimento alla testimonianza dei due santi patroni, uno dei quali condiviso con la diocesi di Trento, e poi richiama ai segni della fede. Ai più semplici.

“L’esperienza di queste settimane – scrive – mostra quanto sia importante la chiesa domestica: la cura, la celebrazione e la trasmissione della fede nelle nostre case e famiglie. Un tempo c’erano la preghiera del mattino, la preghiera della sera, la preghiera prima e dopo i pasti. Le persone pregavano l’Angelus tre volte al giorno. C’erano il segno della croce e l’acqua benedetta, l’angolo con il crocifisso per la devozione domestica, le immagini della Madre di Dio e dei santi, i segni e le usanze della devozione popolare, il rosario, la sosta nelle chiese per pregare davanti al Signore nel tabernacolo, la confessione, la domenica e la festività, che aveva il suo culmine nell’andare in chiesa”.

Pratiche che col tempo sono cadute in disuso. “La fede – spiega il vescovo – non si può limitare ad alcune occasioni eccezionali. La fede vissuta, che riguarda la nostra vita e ci aiuta ad affrontarla e interpretarla, ha bisogno del quotidiano e della regolarità”. Quindi: “Coltiviamo i segni visibili e semplici della nostra fede!”

Ci sono però soprattutto atteggiamenti da vivere in modo autentico: “Servono umiltà, fermezza, solidarietà, tanto ‘noi‘ e meno ‘io‘”. E ci sono quelle forme di testimonianza che rendono credibili le manifestazioni esteriori della fede.

“Voglio sottolineare in particolare la dimensione sociale della professione della fede cristiana, senza la quale la fede non può dirsi tale: l’impegno per la tutela della vita umana dal concepimento alla morte, l’aiuto al prossimo, la gratuità, la disponibilità a partecipare e sostenere progetti sociali e caritativi, la condivisione a livello personale e strutturale con quanti hanno bisogno di aiuto, l’impegno a favore del creato”. E ancora: “La crisi da coronavirus ha tra l’altro reso evidente come una società che punti costantemente alla crescita nel settore turistico, nella mobilità, nell’industria del tempo libero, nel commercio e in molti altri ambiti economici e vitali, arrivi al suo limite. La fede biblica con la sua opzione per i poveri, ‘che abbiamo sempre con noi’ (cfr. Gio 12,8), ci dice molto di un cambio di prospettiva che fa bene all’intera società. Sforziamoci soprattutto, nel superare questa crisi globale, di non lasciare che resti tutto così o che torni tutto come prima. Domandiamoci chi sono i veri poveri, tra noi e nel mondo. E domandiamoci, partendo dalla nostra fede, di cosa abbia bisogno il creato per poter restare il nostro comune sostentamento”.

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